SETTE anni fa Beigbeder Frédéric distrusse l’orizzonte cuoriforme degli innamorati dando alle stampe il bestseller “L’amore dura tre anni” (Feltrinelli, 139 p.). Nel suo libro lo scrittore e pubblicitario francese dimostrò, tra statistiche, biochimica ed esperienza personale, come l’innamoramento somigli più a un vasetto di yogurt che a un calice d’ambrosia, e abbia una data di scadenza. Se le sue conclusioni vi sono sembrate esagerate, preparatevi a quelle dell’ultimo studio dei ricercatori dell’università di Rochester, pubblicato sulla rivista Psychological Science: secondo il team dello psicologo Ronald Rogge, che ha condotto l’indagine, l’amore non solo ha una scadenza, ma è possibile stabilire quando gli innamorati si diranno addio. Gli annales delle storie d’amore pullulano di relazioni in cui apparentemente tutto fila liscio ma che poi scoppiano perché uno dei due, senza rendersene conto, comincia a non sentirsi felice come prima. Lo studio del professor Rogge è partito da qua, arrivando a sviluppare un test che fa venir fuori i “dubbi inconfessabili” e permette di calcolare quanto resta al cervello prima di sbottare e metter fine alla relazione.
Il test fa in modo che i componenti delle coppie rivelino ciò che pensano reciprocamente senza rendersene conto, così da dare risposte spontanee. Il risultato permette di comprendere se, nel profondo, c’è qualcosa che non va. Gli esami condotti fino a oggi su questo argomento, spiegano i ricercatori, si basavano sul chiedere direttamente alle persone un giudizio sul proprio partner, dando vita a risposte razionali e controllate, e quindi poco rivelatrici. “La difficoltà principale in una coppia – spiega Rogge – è che il rapporto presuppone che entrambi i componenti della coppia siano felici, ma non sempre è così. E spesso molte persone non vogliono ammettere che stanno iniziando a sentirsi meno bene all’interno del rapporto”.
Lo studio è durato 12 mesi e ha coinvolto decine di coppie per un totale di 222 volontari felicemente fidanzati o ammogliati. Tutti sono stati sottoposti a due prove: nella prima uomini e donne dovevano premere la barra della tastiera quando vedevano comparire su un monitor combinazioni tra parole positive e sostantivi da loro stessi collegati al partner, mentre nella seconda dovevano premere quando comparivano combinazioni tra parole negative e altre da legare al compagno. L’obiettivo dell’esperimento era quello di andare a stimolare reazioni automatiche, così da ottenere risposte immediate e dettate esclusivamente dall’inconscio. I risultati hanno mostrato che i volontari che hanno trovato più facile svolgere il secondo esercizio, associando al proprio partner parole negative e azioni difficili, avevano probabilità sette volte più alte di separarsi entro l’anno successivo. “Ciò che mi ha emozionato di più – spiega il professor Rogge – è che il nostro test è riuscito a interpretare lo stato di salute delle relazioni molto meglio delle parole dei partecipanti”. La tecnica in realtà non è nuova ma è innovativo il modo in cui è stata utilizzata e l’interpretazione che è stata data ai risultati. Finora, infatti, test come questo sono stati usati per individuare pregiudizi legati al razzismo o fobie nascoste, ma mai per stabilire le possibilità di durata di una relazione.
Non tutte le storie d’amore, comunque, sono destinate a finire. Un altro studio americano, pubblicato sulla Review of General Psychology, spiega infatti che la coppia può conservare il sentimento dei primi tempi, definito dagli scienziati “un mix di intensità, coinvolgimento e chimica sessuale”, anche nei rapporti duraturi. Gli ingredienti fondamentali sono comprensione e condivisione, ammettendo cosa va e cosa no. Secondo lo psicologo Roberto Cavaliere, esperto di problematiche legate alla coppia e responsabile del sito Maldamore.it, il test messo a punto dall’università americana va utilizzato come strumento di prevenzione. “Nella società di oggi siamo abituati a non usare i pezzi di ricambio, a gettar via una cosa quando non ci va più bene – spiega – Le coppie, per vari motivi, stanno perdendo la capacità di recuperare e riparare ciò che non va. Questo test potrebbe servire per aiutare due che si amano a non arrivare al punto di non ritorno”. L’esperto spiega che spesso si arriva alla terapia di coppia quando ormai non c’è più nulla da fare, e quello che manca è soprattutto un percorso di elaborazione personale. “Lo studio americano – continua Cavaliere – mette in evidenza come spesso chi ha un problema col partner non riesca a identificarlo, né tanto meno a confessarlo. A volte è difficile ammetterlo a se stessi, figuriamoci alla persona che ci sta accanto. Ma un percorso di autoanalisi è fondamentale. Solo dopo aver capito cosa ci da fastidio potremo affrontare il problema”. A quel punto, conclude lo psicologo, l’ultimo step è quello del dialogo: “La comunicazione è fondamentale. Senza, non c’è battaglia che possa essere vinta o relazione che si possa riparare”.
Una posizione in linea con quella di Bauman Zygmunt, che nel suo “Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi” (Laterza, 219 p.) sintetizzò l’universo delle problematiche amorose spiegando che non c’è nulla di programmabile in esse, se non la loro precarietà. Già nel 2003 il sociologo e psicologo polacco aveva definito l’amore “un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile”, arrivando con anni di anticipo a conclusioni poi confermate da studi scientifici come questo: nel solco della convinzione che l’unico modo per prevedere il futuro di una relazione sia viverla.