FILM ROMANTICI NOCIVI ALL’AMORE ?

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“NEI film d’amore lui la rincorre, sale i gradini di una scala antincendio con una rosa in bocca e, sfidando vertigini e pregiudizi, le chiede di sposarlo. E anche quando non ha l’intraprendenza di Richard Gere, il protagonista delle commedie romantiche non riesce comunque a dimenticare la sua lei e vaga sconsolato per le strade di Notting Hill. Secondo gli psicologi specialisti in relazioni familiari dell’Università Heriot Watt di Edimburgo tutto questo fa male all’amore: le commedie romantiche danno una visione edulcorata della realtà e di conseguenza poco sana per la vita di coppia. Una conclusione che farà felice lo psicoterapeuta statunitense Gary Salomon, il primo nel 1997 a parlare di cineterapia, secondo il quale i film hanno un effetto preciso sui nostri equilibri mentali. Lo studio scozzese è partito da un esperimento pratico che ha coinvolto 100 volontari, ad alcuni facendo guardare commedie come Serendipity e ad altri film di David Linch. I primi, dopo aver seguito le “magiche casualità” che legano i destini di Kate Beckinsale e John Cusack, erano più propensi a credere all’amore predestinato, e comunque al di là del film avevano una concezione più “fiabesca” dell’amore. I fan di “Love actually”, “Se scappi ti sposo”, “C’è posta per te” e “Ghost” credono insomma che il prototipo dell’amore sia quello presentato da queste commedie, dove generalmente i due si innamorano, si rincorrono e alla fine, aiutati da un destino benevolo, vanno a convivere felici e contenti.
“Si tratta del primo studio sistematico su questo argomento – spiega lo psicologo Roberto Cavaliere, Presidente della Asipdar (Associazione Studio e Intervento Problematiche e Dipendenze Affettive e Relazionali) – e, per quanto riguarda gli effetti sul processo relazionale, sono assolutamente d’accordo con i risultati della ricerca. Certe commedie, così come certi libri, non aiutano a capire che la relazione di coppia è qualcosa che va progettata nel tempo, attraverso mille difficoltà. Diciamo però che questi film fanno male a chi ha già di per sé una visione patologica dell’amore. Si tratta insomma di un qualcosa che accentua un problema di fondo già esistente”. Gli amanti delle commedie romantiche, spiegano gli psicologi scozzesi, hanno in genere grosse difficoltà a comunicare con il partner, ostacolati da una concezione dell’amore poco aderente alla realtà. La responsabilità sarebbe anche di questi film, scritti per solleticare i neuroni e non per dare consigli sul modo migliore per affrontare la vita di coppia. Lo psicologo Bjarne Holmes, uno degli autori dello studio, spiega che “I consulenti matrimoniali spesso vedono coppie che credono che il sesso debba sempre essere perfetto. Ci sono persone che credono al destino: secondo loro, se qualcuno è destinato a stare con te, saprà riconoscere perfettamente le tue necessità, senza bisogno che tu gliene parli. I media hanno una grossa fetta di responsabilità nella costruzione di certi miti”. Il primo a lanciare l’allarme fu Gustave Flaubert, l’iniziatore del realismo e il creatore di un personaggio complesso come la Signora Bovary. Fu lui a parlare, quasi due secoli fa, della “diseducazione sentimentale dei romanzi d’amore”. Dopo di lui gli studiosi hanno iniziato a concentrarsi sulla cosiddetta “visione fusionale” che certi romanzi davano della vita di coppia, presentata come la fusione tra due dolci metà e non, più correttamente, come l’unione di due unità. “L’amore romantico è sempre stato descritto in modo fiabesco e irreale – conclude Cavaliere – ma le cose forse negli ultimi anni sono cambiate: le persone che hanno meno di 35 anni sono molto più disilluse, ciniche, non tutte credono all’amore romantico. Io mi scontro spesso contro giovani che non hanno nessuna fiducia nell’amore”. Studi recenti dimostrano infatti che i più romantici sono gli uomini di 53 anni: un sondaggio britannico ha analizzato il comportamento di 1000 soggetti tra i 18 e i 35 anni, dimostrando che è solo dopo i 50 anni che gli uomini si trasformano in teneri amanti tutti fiori, champagne e cenette. Al contrario dei propri figli, che omaggiano la fidanzata di un mazzo di fiori o di una cena a lume di candela solo ogni tanto, ben il 44 per cento dei “padri” lo fa abitualmente. Per non parlare del tradimento, altra spina nel fianco per i ragazzi di oggi. Le probabilità di tradire il partner in una relazione, quantificate recentemente da uno studio canadese, interessano dal 40 al 76 per cento delle giovani relazioni. Secondo i ricercatori, l’infedeltà potrebbe essere una precisa strategia di fuga per coloro che non riescono a innamorarsi davvero e prendersi delle responsabilità. E chissà che a generare tanta insicurezza non siano proprio i film alla “Notting Hill”, perfetti per farci passare dal caldo tepore del romanticismo alla doccia fredda della quotidianità. (17 dicembre 2008)
ARTICOLO COMPLETO AL SEGUENTE INDIRIZZO:

Dott. Roberto Cavaliere

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IL MUSEO DEI CUORI INFRANTI

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SINGAPORE (Reuters) – Una scatola porta anello vuota, lingerie sexy e un paio di manette di peluche sono alcuni dei cimeli di amori conclusi in mostra questa settimana in Asia.Il “Museo delle relazioni finite” (“Museum of broken relationships”), che arriva oggi a Singapore, è un’esposizione itinerante di oggetti che riguardano storie sentimentali andate male e donati dai cuori infranti delle varie città visitate della manifestazione.Gli ideatori dell’iniziativa Olinka Vistica e Drazen Grubisic hanno deciso di creare il museo in Croazia dopo aver consolato amici che soffrivano per amore, nella speranza che il tour globale che hanno reallizzato aiuti tutti coloro che escono dolorosamente da una relazione a superarla attraverso l’arte.Le reliquie di love story finite hanno fatto tappa in Croazia, a Londra e Berlino prima di giungere a Singapore nella loro prima sosta asiatica.”Il museo delle relazioni finite è una concezione artistica che parte dall’assunto che gli oggetti possiedono… ologrammi di memoria ed emozioni, e ha l’intento con la loro esposizione di creare uno spazio sicuro per i ricordi per preservare l’eredità delle storie finite”, si legge sul sito della mostra, su www.brokenships.com.”Per questo può essere terapeutico”.Nel museo, che oltre a oggetti materiali offre uno spazio virtuale online, si possono vedere lettere romantiche, fotografie, orsacchiotti di peluche, ma anche simboli amorosi meno convenzionali, come la protesi per gamba donata da un veterano di guerra che si era innamorato della sua fisioterapista.A Berlino, un’ascia usata da una donna per distruggere i mobili della sua ex, era esposta insieme all’arredamento fatto a pezzi, un abito da sposa e un paio di pattini.Ogni elemento del museo è anonimo, ed è accompagnato da una breve descrizione della relazione di cui ha fatto parte.

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LA PILLOLA DELL’AMORE ?

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LONDRA – “Come sai che sono innamorato?”, chiede un personaggio di Shakespeare nel dramma “I due gentiluomini di Verona”. E l’altro risponde: “Avete imparato a bearvi d’un canto d’amore come un pettirosso; a passeggiare da solo come un appestato; a sospirare come uno scolaretto; a piangere come una pischerletta; a digiunare come uno a dieta; a vegliare come chi ha paura dei ladri”. Niente di nuovo, per chi viene trafitto dalle frecce di Cupido. Ma sta avvicinandosi il giorno in cui sensazioni analoghe potrebbero essere provocate artificialmente, a comando, ingurgitando una capsula con un bicchier d’acqua. “Medicinali che manipolano i sistemi del cervello per aumentare o per diminuire i sentimenti per un’altra persona potrebbero non essere lontani”, annuncia il professor Larry Young, biologo della Emory University, in un articolo sulla rivista scientifica Nature. Se fino ad ora ci siamo accontentati della pillola dell’amore inteso come sesso, vedi il Viagra e altri prodotti simili, dietro l’angolo sembra dunque intravedersi la prospettiva della pillola dell’amore sentimentale. L’amore di cui scrive Shakespeare, l’amore totale, il vero amore. Di esperimenti del genere si parla già da qualche tempo, con test condotti su topolini e altri roditori in cui i dongiovanni della specie si tramutano all’istante in coniugi votati alla monogamia. Ma gli studi cui si riferisce il professor Young sono rivolti agli esseri umani. È per esempio già stato dimostrato, afferma lo scienziato, che annusare una spruzzata dell’ormone ossitocina accresce la fiducia e fa sentire una comunanza di emozioni con il prossimo.
L’ossitocina, spiega nell’articolo, produce una sensazione di soddisfazione e contentezza in modo simile alla nicotina e a droghe come cocaina ed eroina, con un’azione chimica sul cervello praticamente identica a quella registrata in madri che guardano fotografie dei loro bambini o in persone che guardano fotografie dei propri innamorati. Studi attualmente compiuti in Australia, secondo la rivista Nature, stanno cercando di determinare se uno spray all’ossitocina potrebbe aiutare a ottenere migliori risultati nelle terapie dei consulenti matrimoniali per rimettere insieme coppie in crisi. Qualche prodotto che si vanta di realizzare risultati simili è già apparso sul mercato. Recentemente alcuni siti Internet hanno cominciato a reclamizzare un’acqua di colonia chiamata Enhanced Liquid Trust (Rafforzamento della Fiducia Liquido), contenente una miscela di ossitocina e ferormoni che garantirebbe “progressi nel campo delle relazioni sociali e sentimentali”.
Il professor Young è scettico al riguardo, osservando che difficilmente prodotti di tal tipo aumentano qualcosa, tranne la fiducia in se stessi, alla stregua di un placebo. Ma lo studioso crede che sia solo questione di tempo, e nemmeno molto, prima che un medicinale possa fare innamorare, o disinnamorare, anche questa una prospettiva interessante, chi ci sta davanti. Và dove ti porta il cuore, o al limite dove ti porta una pillolina.
(9 gennaio 2009)

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IL PRIMO AMORE NON SI SCORDA MAI

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È stata la prima volta che tutto sembrava avere senso. È stata la prima volta che fare di due persone una sola, un evento chiaramente contrario a tutte le leggi della fisica e della biologia, è stata un’esperienza quotidiana. È stata la prima volta che ogni sensazione è stata vissuta con tutte le cellule del corpo. È stata la prima volta che il battito del cuore di un’altra persona era come un codice morse che intralciava i battiti del proprio cuore. È stata la prima volta in cui si è sperimentato cosa voglia dire essere sconvenientemente felici. È stato il primo amore. Quello che, proverbialmente, non si scorda mai e che condanna inesorabilmente alla sofferenza negli anni a venire. Il primo amore, se felice, è un termine di paragone improbo per tutti quelli che verranno dopo e condanna all’infelicità per molto anni. “La passione, la spensieratezza e l’incoscienza tipica della giovinezza e dei primi amori sono emozioni caratteristiche di un momento particolare della crescita dell’individuo. Da adulti i motivi che legano due persone sono i più vari e, soprattutto, per tenere in piedi una relazione matura spesso gli eccessi sono da evitare”, lo sostiene Malcolm Brynin uno psicologo che ha curato un libro che sta spopolando in Inghilterra “Changing Relationship”. Il libro sostiene che molte persone che hanno avuto un primo amore appagante e felice fanno molta fatica a liberarsi dell’idea di una sorta di rapporto “unico” che diventa il termine di paragone attraverso cui si giudica la realtà e tutti gli altri incontri. Vi è però, in questo giudizio, un errore di fondo: quello di valutare il mondo con gli occhi di una persona ancora non emotivamente adulta. “Un rapporto maturo si basa sull’avere un progetto comune, sulla stima, sul rispetto, sulla capacità di accettare l’altro per come è. Suona forse meno romantico ma funziona di più nella vita reale. La passione e la sconsideratezza fanno di una relazione un evento emotivamente squilibrato che non può essere sostenuto per tutta la vita e che denota un approccio un po’ infantile al rapporto di coppia”, si legge nel libro. Dimenticare il primo amore, almeno secondo quanto sostenuto in questo libro, è il primo passo per aprirsi agli altri e per intraprendere una relazione che abbia qualche probabilità di riuscita.
Fonte: Hill A. Why we can never recover from frist love. The Guardian.10 gennaio 2009.

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PER CONQUISTARE SERVE TEMPO E PAZIENZA

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L’amore e la matematica hanno qualcosa in comune. A sostenerlo sono gli scienziati dello University College di Londra, che hanno realizzato un modello teorico del corteggiamento uomo-donna, a cui è dedicato un articolo sull’ultimo numero del Journal of Theoretical Biology. Il messaggio che i ricercatori rivolgono agli uomini è: chi la dura la vince. Ovvero: è scientificamente provato che il corteggiamento richiede tempo, ci vogliono tanti piccoli passi per arrivare al traguardo. E lei allunga i tempi perché deve poter studiare al meglio le caratteristiche del corteggiatore. Ma gli esperti confermano anche, attraverso calcoli di probabilità, quello che il gentil sesso, forse, sa da sempre: temporeggiare è saggio, aumenta le chance di trovare un buon partner. I comportamenti maschili e femminili sono stati analizzati con un modello teorico basato sulla teoria del gioco. Nel sistema preso in esame, lui è spinto da buoni propositi ed è innamorato davvero oppure è interessato solo al sesso. Lui e lei escono insieme più volte e il gioco prevede, come ovvio, due esiti: positivo, se i due escono insieme, o negativo, se lei alla fine rifiuta il pretendente. Una delle conclusioni a cui è giunto lo studio è che il corteggiamento, per sua stessa natura, richiede tempo e pazienza. Il professor Robert Seymour, che ha guidato la ricerca, e i suoi colleghi sono partiti da questa domanda: “Perché persone e animali non accelerano le cose riducendo i ‘costi’ del corteggiamento?”. In fondo, ai fini dell’evoluzione, sarebbe stata la soluzione più immediata, più semplice. Ma non la più “intelligente” dal punto di vista antropologico: “Un corteggiamento più lungo è un modo per la donna di acquisire maggiori informazioni sull’uomo – spiega Seymour – Prolungare questa fase, infatti, permette di ridurre le possibilità di instaurare una relazione con un ‘cattivo’ compagno”. Ecco perché le cene, le serate a lume di candela e al cinema sono fondamentali non solo per creare l’atmosfera nell’immediato, ma anche a fini futuri.
Il modello prova inoltre quello che già si poteva immaginare: “I cattivi ragazzi non sono interessati a protrarre a lungo il gioco della corte”, afferma Seymour. “La donna ha un problema strategico, deve analizzare”, spiega Peter Sozou della Warwick medical School, che ha partecipato allo studio. “Questo potrebbe spiegare la nascita del corteggiamento e il luogo comune per cui una donna non dovrebbe mai andare a letto con il partner al primo appuntamento”, aggiunge Sozou. Farsi desiderare e studiare “l’avversario” è il modo migliore per ottenere un risultato positivo. Le certezze, però, non le regala nessuno, nemmeno la matematica: “Il rischio non si può azzerare, a meno che non si abbandoni del tutto il corteggiamento”.

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M’AMA O NON M’AMA

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PAROLE, parole, parole: soltanto parole o inconsapevoli sfoghi sulla propria vita sentimentale? Secondo uno studio americano, gli sms che mandiamo nascondono un significato che va ben oltre i 160 caratteri disponibili. E decifrarne i meccanismi potrebbe permetterci di capire in anticipo se la nostra storia d’amore sta andando o meno nella direzione da noi auspicata. Secondo gli scienziati californiani che hanno condotto la ricerca, quando le donne sono felici della propria relazione scrivono usando sempre la prima persona.
Dunque se la vostra fidanzata digita spesso la parola “io” nei messaggi che vi manda state tranquilli, non è egocentrica ma solo molto felice. Finora gli studi di psicologia hanno analizzato la vita di coppia e le sue tecniche di comunicazione in laboratorio, ma stavolta gli scienziati si sono basati su spaccati di realtà, esaminando 70 coppie dal vivo. “Studiare gli short messages è un ottimo modo per capire in che modo comunicano le persone”, ha spiegato il ricercatore Richard Slatcher dell’Università della California Los Angeles (Ucla). Una verità già messa a nudo da molti scrittori ed esperti di comunicazione, quando per scherzo e quando con toni più seri.
Insomma, ne è passato del tempo da quel 3 dicembre 1992, quando un computer inviò il primo messaggino della storia su un cellulare, con il testo “Merry Christmas”: in 17 anni lo Short Message Service è diventato un vero e proprio modo alternativo di comunicare, tanto che esistono concorsi di poesia tarati sui 160 caratteri disponibili. Ma torniamo alla ricerca statunitense. Slatcher e i suoi colleghi hanno colto al volo l’importanza del fenomeno e analizzato per 10 giorni le conversazioni via sms di circa 70 coppie statunitensi, tutte più o meno insieme da un anno e mezzo e in una fascia d’età intorno ai 19 anni. Ai partecipanti sono stati anche posti dei questionari sullo stato di salute della propria relazione. Sei mesi dopo circa il 60 per cento delle coppie continuava a stare insieme, mentre gli altri si erano lasciati. I ricercatori hanno letto tutte le conversazioni scambiate dai partner usando un programma di conteggio delle parole capace di classificarle in base al loro significato emozionale. Ne è risultato che “io” viene usata in media 20 volte più spesso di “noi” e che quelle che esprimono un’emozione sono le più frequenti nelle storie durature. “Abbiamo constatato – spiega Slatcher – che le coppie che utilizzano più spesso parole dal significato positivo, come “grande”, “felice” e “amore”, sono le stesse che poi riescono a tenere in piedi la relazione. Le altre naufragano dopo pochi mesi”. Per quanto riguarda le donne, quelle propense ad usare la parola “io” sono circa del 30 per cento più stabili e innamorate delle altre. Secondo il ricercatore ciò dipende dal fatto che si tratta di ragazze sicure di sé e della propria storia d’amore, che dunque trovano nell’altro non sono un fidanzato ma un amico con il quale sfogarsi. Le donne, prosegue l’esperto, in genere tendono a essere più espressive dal punto di vista emozionale e quando riescono ad aprirsi pienamente sono anche più felici a livello di coppia. Dai dati raccolti risulta anche che quelle che usano di frequente le cosiddette “negazioni positive”, ovvero espressioni come “non felice”, sono anche le meno soddisfatte di sé stesse e della propria relazione. Per quanto riguarda gli uomini, quelli che nei messaggini fanno spesso ricorso al sarcasmo sono i meno coinvolti e per entrambi, sia uomini che donne, l’utilizzo di parole che fanno riferimento a emozioni negative, come ad esempio “rabbia”, non è quasi mai da mettere in relazione con il grado di stabilità amorosa. “La domanda da un milione di dollari – conclude Slatcher – è questa: sono le parole che rendono più salda una relazione o è la relazione stessa ad ispirarle?”.
Quella che sembra una scoperta potrebbe dunque nascondere nuovi interrogativi. Per quanto sia stato dimostrato il nesso tra stabilità amorosa e linguaggio, nessuno può stabilire con certezza quali siano i termini di questo legame. Tranne, forse, i due amanti direttamente coinvolti.
(26 gennaio 2009)
articolo completo al seguente indirizzo: http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/tecnologia/sms-psicologia/sms-psicologia/sms-psicologia.html

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LA DONNA MASCHERA MEGLIO L’INTERESSE PER UN UOMO

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Roma, 30 gen. (Adnkronos Salute) – Non c’è finzione che tenga: l’uomo è destinato a fallire, se vuol far credere di non provare interesse nei confronti di una donna che gli piace. Lei, invece, è spesso una vera professionista della dissimulazione e sa mascherare bene l’interesse. Lo hanno scoperto, o per meglio dire confermato, alcuni studiosi dell’università dell’Indiana (Usa) utilizzando come strumento per rilevare questi comportamenti un gruppo di 54 osservatori esterni, invitati a ‘scommettere’ sul destino di diverse coppie eterosessuali coinvolte in una sessione di ‘speed dating’, gli appuntamento lampo fra sconosciuti. In pratica, dovevano riuscire a prevedere l’esito di questi incontri al buio. A emergere durante l’esperimento è stata la quasi totale impossibilità, sia per le donne che per gli uomini, di indovinare il livello di gradimento da parte delle donne che partecipavano al gioco, mentre quello degli uomini è apparso subito a tutti molto chiaro. “Frequentemente – racconta Skyler Place, il principale autore dello studio, su ‘Psychological Science’ – la donna ha mostrato un atteggiamento interessato, sembrava per così dire ‘flirtare’ con chi aveva davanti, ma alla fine è emerso che il suo gradimento nei confronti del ragazzo in questione era scarsissimo. E, fra gli osservatori, nessuno è apparso in grado di interpretare correttamente i gesti delle donne, nemmeno il pubblico femminile”. Place ha scelto questa modalità di verifica, utilizzando una platea ‘giudicante’, perché “è utile a capire come si scelgono i potenziali partner. Se ci si trova in una stanza con 20 persone mai viste prima, essere capaci di individuare una possibile coppia, può renderci a nostra volta più abili nel trovare un amore”. E questo anche se, come nel caso della ricerca, si utilizzando video che riprendono uno speed date, con persone che non parlano la stessa lingua di chi osserva.
Nell’esperimento, infatti, gli appuntamenti si svolgevano in Germania, mentre i ‘giudici’ erano tutti anglofoni: l’importante, secondo gli esperti, è più che altro il linguaggio del corpo. Ma se nel 90% dei casi l’interesse dell’uomo è stato scoperto facilmente, solo nel 10% gli osservatori sono riusciti a smascherare una donna.
articolo completo al seguente indirizzo: http://www.adnkronos.com/IGN/Salute/?id=3.0.2968652067

A CACCIA DELL’EX SU FACEBOOK

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MILANO – Una volta le chiamavamo, senza tante cerimonie, «minestre riscaldate». Ora non più. Sarebbe quantomeno poco elegante, dal momento che il fenomeno, a quanto pare, sta raggiungendo proporzioni imbarazzanti. Basta un’indagine tra amici e conoscenti, soprattutto – diciamo – se nati tra la fine degli anni ’60 e i primi ’80. Con un altro, fondamentale, prerequisito: essere iscritti a Facebook, la «rete sociale» più famosa del mondo (5 milioni di utenti in Italia). Retrospettive d’amore nell’era del social networking. Il meccanismo, per i non addetti ai lavori, è semplice: si digitano nome e cognome dell’ex fidanzata/o, ex amante, ex oscuro-oggetto-del-desiderio nella finestrella di ricerca, si clicca «invio», e si aspetta. Se la persona di cui si avverte improvvisa e improvvida nostalgia è iscritta a Facebook, il gioco è fatto: basterà inviarle una «richiesta di amicizia» con messaggio-gancio. Se la preda è ben disposta, abboccherà. Altrimenti, via leggeri, navigando virtualmente verso altri lidi amarcord.
Penélope Cruz e Javier Bardém: si sono ritrovati 15 anni dopoUna volta c’erano le cene di classe, gli incontri casuali in tram, le speranzose consultazioni dell’elenco telefonico. Ora ci sono le ricerche su Google, la caccia all’email (o al cellulare), il setacciamento di Facebook.
Camila Raznovich a Facebook, che pure non «frequenta», ha dedicato la prima puntata del suo Tatami, su Rai3. «È il fenomeno del momento. Retrosexual incluso, purché non si parli di coinvolgimento sentimentale: capisco il fine sessuale, che è anche più sicuro di un abbordaggio al bar. Ma crederci sul serio…».
Certo, i segnali restano inquietanti. Ad esempio, l’articolo uscito sul Guardian a firma di tale Georgina Hobbs-Meyer, 24 anni e già oltre i limiti del pudore, se ha deciso di raccontare passo dopo passo la sua scoperta di come il marito avesse un cyberflirt su Facebook con una 19enne, la richiesta di chiarimenti «via Skype o Gchat», la separazione e l’imminente divorzio. Una volta, per fare piazza pulita del proprio caos interiore, si andava dallo psicologo. Ora, a quanto pare, chi può salta direttamente da Facebook a palcoscenici più globali. Forse la cosa dovrebbe preoccuparci, almeno un pochino. O no?
Gabriela Jacomella04 febbraio 2009
articolo completo al seguente indirizzo: http://www.corriere.it/cronache

LA CRISI ECONOMICA METTE IN CRISI I MATRIMONI

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«Quest’anno sono entrate 110 nuove cause, ossia 33 cause in meno dello scorso anno: è un dato significativo e preoccupante. Da un lato è molto probabile che vi sia un riflesso dell’attuale crisi economica, ma soprattutto, c’è da lamentare le ben scarsa sensibilità ai problemi morali che nascono dal fallimento di un matrimonio, soprattutto in ordine alle nuove scelte matrimoniali che, purtroppo, restano fuori dalla comunione ecclesiale». A chiarirlo è monsignor Paolo Rigon, vicario giudiziale del Tribunale Ecclesiastico Regionale Ligure, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2009, svoltasi ieri, alla presenza del cardinale Angelo Bagnasco, Moderatore del Tribunale e delle maggiori autorità civili e militari. «Come Tribunale di prima istanza – aggiunge monsignor Rigon – nel 2008 sono state emesse 136 sentenze delle quali: 117 affermative, ossia hanno decretato la nullità del matrimonio e 9 negative, a cui dobbiamo aggiungere 10 cause rinunciate o archiviate, segno che non erano sufficientemente fondate. Pertanto 19 cause, in pratica, sono fallite. Questo dato è indicativo e deve far riflettere: ossia si stanno moltiplicando le cause con esito negativo».Dai dati resi noti ieri mattina, emerge che i motivi per cui vengono dichiarati nulli i matrimoni sono essenzialmente tre: il primo è quello che riguarda i problemi psicologici e neurologici, come pure l’incapacità grave di assumere e adempiere agli obblighi essenziali del matrimonio. C’è poi l’esclusione dei figli dal matrimonio e l’esclusione dell’indissolubilità, ossia la riserva di separarsi e divorziare, se le cose non vanno. Durante l’inaugurazione Bagnasco ha precisato che le difficoltà dell’istituzione matrimoniale nascono perché: «I nostri giovani, e tutti noi siamo immersi in un clima culturale dove per amore si intende tutto, tranne che l’amore autentico che è quotidianità, sacrificio, dovere, scelta e non soltanto emozione». E sulla posizione presa dalla Chiesa sul tema delle ronde il cardinale ha ribadito: «Dobbiamo essere sempre tutti molto attenti e vigili per non perdere quei valori fondamentali della convivenza, della solidarietà e dell’umanesimo autentico, che caratterizzano da sempre la nostra cultura. È una sfida educativa a cui siamo chiamati tutti quanti, come famiglia, come Chiesa e come società civile.

Dott. Roberto Cavaliere

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IL PARTNER PIU’ SENSIBILE

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SE DA TEMPO cerchi senza successo un compagno sensibile che sappia intuire come stai anche in base a una banale conversazione, probabilmente sinora non hai mai trovato un musicista. Avere orecchio musicale – secondo uno studio pubblicato sull’ultimo numero dell’European Journal of Neuroscience – può costituire un vero e proprio vantaggio in una relazione perché aumenta letteralmente la nostra capacità d’ascoltare gli altri, di decifrarne gli stati d’animo a partire dal tono della loro voce e quindi di rispondere ai loro bisogni. Che i musicisti fossero più sensibili alle sfumature emotive celate in un discorso era stato già segnalato da precedenti ricerche. I ricercatori della Northwestern University, Illinois, sono stati però i primi a trovare il fondamento biologico del legame tra musica ed emozioni. Per farlo, Dana Strait, Nina Kraus, Erika Skoe e Richard Ashley hanno reclutato 30 volontari, uomini e donne, musicisti e non, tra i 19 e i 35 anni. Dopo aver applicato sulla loro testa degli elettrodi, hanno mostrato loro un film naturalistico in lingua straniera sottotitolato al fine di distrarli mentre – attraverso delle cuffie – gli veniva fatto ascoltare per appena 250 millesimi di secondo il suono del pianto di un bambino e, grazie agli elettrodi e al cosiddetto Abr (esame dei potenziali uditivi), hanno monitorato le attività del nervo acustico dei volontari in risposta ai diversi stimoli sonori. I cervelli dei musicisti hanno risposto al suono del pianto molto più velocemente e accuratamente dei cervelli dei non musicisti. A differenza di quest’ultimi, quanti avevano esperienza in ambito musicale si sono dimostrati più sensibili alle variabili acustiche del pianto – tono, tempo e timbro – che più chiaramente svelavano lo stato d’animo del bambino trascurando quelle meno emotivamente significative. Non solo: coloro che avevano intrapreso gli studi musicali prima dei sette anni e che li avevano proseguiti per oltre dieci anni erano più in grado degli altri di individuare e decifrare le variabili acustiche che veicolavano informazioni sullo stato d’animo del neonato.

“I nostri risultati suggeriscono che l’esperienza musicale produce sia un aumento sia un miglioramento delle risposte neurali subcorticali connesse con le caratteristiche acustiche importanti per la comunicazione degli stati emotivi”, hanno concluso i ricercatori segnalando che il “ruolo subcorticale nel processo acustico delle sfumature emotive” rappresenta “la prima prova biologica” che la pratica musicale accresca la percezione delle emozioni espresse oralmente. “Identificare velocemente e accuratamente un’emozione in un suono è un’abilità che si traduce in ogni area, in una giungla infestata da predatori, in un’aula scolastica, in un consiglio d’amministrazione o in una camera da letto”, ha commentato Dana Strait – principale autrice dello studio, nonché suonatrice di piano e oboe – precisando che è solo la pratica, e non una predisposizione innata verso la musica, a renderci più sensibili. Anche l’amante più incapace di decifrare i sottili messaggi spesso camuffati in una semplice parola può perciò recuperare: se proprio non vorrà imparare a suonare il piano né tanto meno l’oboe, potrà sempre esercitarsi ad avere orecchio per la musica e per il partner.
(8 marzo 2009)

articolo completo al seguente indirizzo:

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