NON PUOI ESSERE AMATA SE NON TI AMI TU PER PRIMA

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Ma tu mi ami? chiese Alice.
– No, non ti amo rispose il Bianconiglio.
– Alice corrugò la fronte ed iniziò a sfregarsi nervosamente le mani, come faceva sempre quando si sentiva ferita.
– Ecco, vedi? – disse Bianconiglio – Ora ti starai chiedendo quale sia la tua colpa, perché non riesca a volerti almeno un po’ di bene, cosa ti renda così imperfetta, frammentata. Proprio per questo non posso amarti. Perché ci saranno giorni nei quali sarò stanco, adirato, con la testa tra le nuvole e ti ferirò. Ogni giorno accade di calpestare i sentimenti per noia, sbadataggine, incomprensione. Ma se non ti ami almeno un po’, se non crei una corazza di pura gioia intorno al tuo cuore, i miei deboli dardi si faranno letali e ti distruggeranno. La prima volta che ti ho incontrata ho fatto un patto con me stesso: mi sarei impedito di amarti fino a che non avessi imparato tu per prima a sentirti preziosa per te stessa. Perciò Alice no, non ti amo. Non posso farlo”

Tratto da “Alice nel Paese delle meraviglie”

In questo significativo brano (tratto dal libro “Alice nel Paese delle meraviglie”) viene esplicitato perfettamente cosa significa e perché è importante amarsi per poter riuscire ad essere amati dall’altro.

Se si fa dipendere la propria autostima, il proprio valore, il meritare amore, dal partner, inevitabilmente ci si espone alle ferite che l’altro, consapevolmente o inconsapevolmente può infliggere.

Se, invece, ci si stima, ci si ama a prescindere dal partner, quest’ultimo può aggiungere valore ed amore, ma non può sottrarli, non può indebolirli.

Paradossalmente, possiamo aspettarci amore autentico dall’altro solo se l’altro percepisce che noi ci amiamo per prima.

Ed in maniera speculare, si è capaci di amore per l’altro solo se noi ci amiamo per prima. In questo caso “Se non mi amo, non ti amo”

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

IL “TEMPO PERSO” IN AMORE

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Quando si ha la sensazione di aver ‘perso tempo’ in una relazione il modo migliore per recuperarlo è separarsi.
Con la separazione quel tempo viene recuperato come tempo speso per un’esperienza relazionale e/o sentimentale che si cercherà di non ripetere più.
Se si riesce ad attuare ciò, il ‘tempo perso’ diventa ‘tempo speso’ per la propria crescita affettiva e relazionale.

Inoltre in questo passaggio da “tempo perso” a “tempo speso” si ha quel passaggio dai due diversi tipi di tempo secondo i greci: si passa dal “KRONOS” al “KAIROS” vale a dire da un tempo cronologico inteso come semplice scorrere ad un tempo individuale foriero di riflessioni ed eventuali cambiamenti.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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LE RADICI DELL’AMORE

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Personalmente e Professionalmente condivido appieno questo passaggio sull’amore del bellissimo film “Il mandolino del capitano Corelli”. Roberto Cavaliere

“L’amore è una pazzia temporanea, erutta come un vulcano e poi si placa. E quando accade, bisogna prendere una decisione.
Devi capire se le vostre radici si sono intrecciate al punto da rendere inconcepibile una separazione. Perché questo è l’amore.
Non è l’ardore, l’eccitazione, le imperiture promesse d’eterna passione, il desiderio di accoppiarsi in ogni minuto del giorno. Non è restare sveglia la notte a immaginare che lui baci ogni angoletto del tuo corpo.
No, non arrossire, ti sto dicendo qualche verità. Questo è semplicemente essere innamorati, una cosa che sa fare qualunque sciocco.
L’amore è ciò che resta quando l’innamoramento si è bruciato; ed è sia un’arte, sia un caso fortunato.
Tua madre ed io avevamo questa fortuna, avevamo radici che si protendevano sottoterra una verso l’altra, e quando tutti i bei fiori caddero dai rami, scoprimmo che eravamo un albero solo, non due.
Ma, a volte, i petali cadono senza che le radici si siano intrecciate.”

FENOMENOLOGIA DELL’AMORE SECONDO BARTHES

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Barthes procede a un’analisi razionale dei sentimenti e delle emozioni che prendono l’innamorato, partendo invece dall’analisi del ramo semantico del discorso amoroso: prende alcuni concetti fondamentali, percepiti un po’ da tutti gli innamorati, e li esplicita con incredibile chiarezza, andando a fondo nelle dinamiche psicologiche e relazionali.

Per ricollegarci alle analisi precedenti, vediamo che anche Barthes sostiene l’unicità dell’amore, come già Schopenauer, ma va oltre, specificando cosa comporta questa unicità per chi ama.

«Nella mia vita, io incontro milioni di corpi; di questi milioni io posso desiderarne delle centinaia; ma, di queste centinaia, io ne amo uno solo. L’altro di cui io sono innamorato mi designa la specialità del mio desiderio. L’amore per una persona unica si riflette su chi ama, facendogli percepire la propria identità e unicità. Quindi l’amore contribuisce a darci la sensazione di essere individui unici.»1

La sua analisi più completa è nella forma di un dizionario, uno studio del linguaggio del “discorso amoroso” attraverso grandi capolavori letterari.

Nella sua opera troviamo tutte le fasi che possono caratterizzare l’amore. Egli afferma che le fasi dell’incontro amoroso sono essenzialmente tre in chi lo rievoca: la cattura, come per la metafora dell’uccellagione degli antichi egizi, consiste nell’essere rapito da un’immagine, da un sentimento, in un attimo; il conoscersi, la dolcezza della scoperta dell’altro, nella sua perfezione, la meraviglia di aver trovato chi dipinge ciò che inconsapevolmente era nel proprio ideale, un fatto casuale che si percepisce come soprannaturale; il “seguito: la lunga sequela di sofferenze, dolori, angosce, sconforti, rancori, impacci e tranelli” che minaccia di far crollare tutto il sistema di valori che quell’incontro aveva messo in piedi per l’amante e l’amato.2 Ma Barthes precisa, “c’è un’illusione del tempo amoroso. Io credo che sia un episodio, con un inizio e una fine. E tuttavia la ricostruzione del rapimento è a posteriori.”

Nel dettaglio, Barthes parla della fase dell’innamoramento,3 come di un rapimento in cui il rapitore non ha intenzionalità, ma è l’oggetto d’amore, e che causa una ferita profonda nel soggetto rapito (immagine da un lato simile a quella che ci riportano le incisioni degli antichi egizi, e dall’altro vicina all’espressione che si usa in inglese per l’innamoramento, fall in love, cadere in amore).

Chi si innamora è in un certo senso vuoto, inconsciamente disponibile, in attesa dell’occasione; il pretesto è occasionale, ma deve essere un tassello che si incastra nella propria struttura profonda.

Cos’è che fa innamorare?

«C’è qualcosa che coincide esattamente col mio desiderio (di cui non so niente) (…) talora, ciò che dell’altro mi esalta è l’aderenza a un grande modello culturale (io credo di vedere l’altro dipinto da un artista del passato), talaltra, ad aprire in me la ferita, è invece una certa disinvoltura dell’apparizione: io posso innamorarmi di un atteggiamento un po’ volgare (assunto per provocare): ci sono delle trivialità sottili, mobili, che passano rapidamente sul corpo dell’altro (…) l’aspetto che mi colpisce si riferisce a una particella di pratica, al momento fuggevole di una posizione… ».

Il rapporto tra innamoramento e amare è esplorato da Barthes, eppure non ha univoca soluzione. Si sa che essere innamorato non somiglia a nient’altro, ed è perciò riconoscibile in qualunque tipo di rapporto. L’essere innamorato è un desiderio di possesso, l’amare è quella componente del sentimento che, oltre a prendere, vuole anche dare. Quando si parla di dare in amore, ci si riferisce solo raramente a sacrifici materiali: tollerare, non dire, non litigare, non alzare la voce, non usare un certo linguaggio… a volte fingere, per proteggere. Si tratta quindi di una padronanza dei sentimenti che sembra contrastare con la natura un po’ infantile, quasi morbosa, dell’essere innamorati. Eppure non riescono a procedere separati.4

L’amore visto dall’esterno diventa osceno,5 perché la sentimentalità è stata screditata dall’opinione moderna, non vi è sistema di idee che stimi o difenda l’amore-passione, non vi è una teoria ufficiale, come ai tempi del Simposio, né una scusante, oramai l’essere innamorato è una teoria fuori moda e fuori dalla storia, e rende perciò osceno l’innamorato, esposto senza difese. L’innamorato mostra i suoi sentimenti senza una mediazione di forma, che sia un romanzo, o una rappresentazione teatrale, una qualche finzione che possa proteggerlo dall’opinione comune. La solitudine che lo caratterizza è timida, non trasgressiva, né eroica. Se vi è comprensione per l’innamoramento adolescenziale, ciò non vale se questo “errore” viene reiterato, e se l’innamorato diventa recidivo. Finché l’innamorato resta tale, è solo, ma la solitudine a cui ci si riferisce non è quella di una persona, poiché anzi l’innamorato ha spesso persone con cui confidarsi, ma una solitudine di sistema, di una comprensione che non sia compassione e “attesa che passi”: gli unici capaci di questa comprensione sono gli altri innamorati, gli altri folli.

Barthes non trascura il concetto di dipendenza6, e anzi individua un momento in cui essa diventa consapevole, ma non viene allontanata, né svalutata, né considerata un problema: anche negli elementi più futili, il soggetto amoroso di Barthes non limita e non nasconde la sua dipendenza, perché così dà valore alla sua domanda d’amore, come chi venera una divinità mostra il sacrificio che sta offrendo.

Solo in determinate condizioni spunta un desiderio di imporsi nel soggetto amoroso: ad esempio, nel momento in cui l’oggetto amato fosse subordinato a qualcun altro, chi ama si sentirebbe non solo consegnato nelle mani dell’amato, ma sottoposto alle decisioni di qualcun altro, che egli non ha scelto, e solo per questo non riuscirebbe a tollerare la propria dipendenza.

In questi casi iniziano le rivendicazioni e le recriminazioni, perché il dono e il sacrificio diventano un modo per “dominare” nella coppia, come se l’abnegazione fosse una moneta di scambio, con la quale si ottiene importanza e potere nella coppia. Un regalo amoroso viene accuratamente scelto, e vengono valutate tutte le possibili motivazioni per cui esso possa non essere ben accolto, perché può deludere o sembrare troppo impegnativo, e perché diventa un sostituto dell’oggetto amoroso, quasi un feticcio (“indossa il mio regalo”, “dorme con il mio regalo”…). Ma bisogna fare attenzione proprio al parlare di un dono, che questo sia un regalo materiale, o un sacrificio, o una resa incondizionata all’altro: significa porlo nell’economia di scambio nella coppia. Esso diventa: “faccio più di quanto fai tu”.

In realtà, anche se nel ragionamento amoroso c’è un calcolo di pro e contro, è generalmente per impazienza: si è consapevoli che il dispendio è aperto, e si tratta di un tesoro di energie e pensieri che viene dilapidato senza alcun guadagno assicurato.7

Un’altra caratteristica dell’analisi di Barthes, è il molteplice livello in cui un soggetto innamorato utilizza il linguaggio: l’immaginazione. Il soggetto amoroso, inchiodato da se stesso in una situazione insopportabile, inizia a immaginarsi una storia, l’immagine di se stesso che si salva, attraverso una fuga, o un viaggio, una separazione, il suicidio, o un nuovo amore. Elaborando una finzione, l’innamorato combatte idealmente i propri demoni: “farei così, andrei da lei… , affronterei … , direi … , e lei non potrebbe resistermi e mi inseguirebbe, … ”. Dando origine a questa finzione,8 il soggetto amoroso vede se stesso ancora pieno di dignità, e in questo luogo fittizio, come una catarsi, trova un attimo di quiete dal suo tormento, una piccola rivincita. Questa non è una soluzione definitiva però: l’innamorato non può uscirne sulla base di un pensiero immaginato, la trappola non si spezza da sola.

1 R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 2005, Attesa, p. 17

2 R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 2005, Incontro (p.109)

3 R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 2005, Rapimento, p.162

4 ibidem, p.101

5 ibidem p.149

6 ibidem, p.79

7 Al contrario di come dirà Bauman in seguito, lo vedremo nel §1.3.5

8 ibidem, p. 211

Le riflessioni riportate sono tratti dal libro di Roland Barthes “Frammenti di un discorso amoroso” edito da Einaudi, testo che consiglio vivamente di leggere perchè “illuminante” sulla fenomenologia dell’amore

ABBANDONO – A seconda di tale o talaltra circostanza, il soggetto amoroso si sente trascinato dalla paura di un pericolo, di una ferita, di un abbandono, di un improvviso cambiamento – sentimento che egli esprime con la parola angoscia

ANGOSCIA – A seconda di tale o talaltra circostanza, il soggetto amoroso si sente trascinato dalla paura di un pericolo, di una ferita, di un abbandono, di un improvviso cambiamento – sentimento che egli esprime con la parola angoscia…

Lo psicotico vive nel timore del crollo. Ma “la paura clinica del crollo è la paura d’un crollo che è già stato subito… e vi sono dei momenti in cui un paziente ha bisogno che gli si dica che il crollo la cui paura mina la sua vita è già avvenuto”. Lo stesso avviene, a quanto sembra, per l’angoscia d’amore: essa è la paura di una perdita che è già avvenuta, sin dall’inizio dell’amore, sin dal momento in cui sono stato stregato. Bisognerebbe che qualcuno potesse dirmi: “Non essere più angosciato, tu l’hai già perduto(a)”.

ANNULLAMENTO – Accesso di linguaggio durante il quale il soggetto giunge ad annullare l’oggetto amato sotto il volume dell’amore stesso: con una perversione propriamente amorosa, il soggetto ama l’amore, non l’oggetto.

ASSENZA – Ogni episodio che mette in scena l’assenza dell’oggetto amato – quali che siano la causa e la durata – e tende a trasformare questa assenza in prova d’abbandono…

Orbene l’unica assenza è quella dell’altro; è l’altro che parte, sono io che resto. L’altro è in stato di perpetua partenza, sempre sul punto di mettersi in viaggio; egli è, per vocazione, migratore, errante; io che amo sono invece, per vocazione inversa, sedentario, immobile, a disposizione, in attesa, sempre nello stesso posto, in giacenza, come un pacco in un angolo sperduto della stazione… Esprimere l’assenza… è come dire: “Sono meno amato di quanto io ami”.

ATTESA – tumulto d’angoscia suscitato dall’attesa dell’essere amato in seguito a piccolissimi ritardi (appuntamenti, telefonate, lettere, ritorni)…

“Sono innamorato? – Si, poiché sto aspettando”. L’altro, invece non aspetta mai. Talvolta, ho voglia di giocare a quello che non aspetta; cerco allora di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo gioco, io perdo sempre: qualunque cosa io faccia, mi ritrovo sempre sfaccendato, esatto, o per meglio dire in anticipo. La fatale identità dell’innamorato non è altro che: io sono quello che aspetta.

(Nel transfert, si aspetta sempre – dal medico, dal professore, dall’analista. Ancora più evidentemente se sto aspettando allo sportello d’una banca, o alla partenza d’un aereo, subito stabilisco un rapporto aggressivo con l’impiegato, con l’hostess, la cui indifferenza svela e irrita la mia sudditanza; si può così dire che, ove vi è attesa, vi è transfert: io dipendo da una persona che si fa a mezzo e che impiega del tempo a darsi – come se si trattasse di far scemare il mio desiderio, d’infiacchire il mio bisogno. Fare aspettare: prerogativa costante di qualsiasi potere, “passatempo millenario dell’umanità”)….

Un cavaliere era innamorato di una nobildonna. Lei gli disse: “Sarò vostra solo quando voi avrete passato cento notti ad aspettarmi seduto su una sedia, nel mio giardino, sotto la mia finestra.” Ma alla novantanovesima notte, il cavaliere si alzò, prese la sua sedia sotto il braccio e se n’andò.

CATASTROFE – Crisi violenta durante il quale il soggetto, sentendo la situazione amorosa come un vicolo cieco, una trappola da cui non potrà mai più uscire, si vede destinato a una totale distruzione di sé…

Vi sono due tipi di disperazione: la disperazione pacata, la rassegnazione attiva (“Io vi amo come bisogna amare: nella disperazione”), e la disperazione violenta: un bel giorno, in seguito a un incidente qualsiasi, mi chiudo nella mia stanza e scoppio in lacrime: sono in balia di una forza che mi soverchia, asfissiato dal dolore; il mio corpo s’irrigidisce e si contrae: come in un lampo, freddo e tagliente, io vedo la distruzione a cui sono condannato. Tutto ciò non ha niente di paragonabile alla prostrazione insidiosa, ma in fondo civile, degli amori difficili; non c’è alcun rapporto con l’annichilimento in cui si viene a trovare il soggetto abbandonato: qui, sono come folgorato, ma lucido. La sensazione che provo è quella di una vera e propria catastrofe: “Ecco, sono veramente fottuto!”…

La catastrofe amorosa s’avvicina forse a ciò che, nel campo psicotico, è stata definita situazione estrema, la quale è “una situazione che il soggetto vive conscio del fatto che esso finirà col distruggerlo irrimediabilmente”; l’immagine è ricavata da ciò che avvenne a Dachau… le due situazioni hanno in comune questo: esse sono, alla lettera, due situazioni paniche: entrambe sono senza seguito, senza ritorno: io mi sono talmente trasfuso nell’altro che, quando esso mi viene a mancare, non riesco più a riprendermi, a ricuperarmi: sono perduto per sempre.

COLPE – In un qualsiasi episodio trascurabile della vita d’ogni giorno, il soggetto crede di aver mancato nei confronti dell’essere amato e prova per questo un sentimento di colpevolezza.

COMPASSIONE – Il soggetto prova un sentimento di compassione nei riguardi dell’oggetto amato ogni volta che lo vede, lo sente o lo sa infelice o minacciato da qualcosa che è estraneo alla relazione amorosa in sé.

FASTIDIO – Sentimento di moderata gelosia che coglie il soggetto amoroso quando vede che l’interesse dell’essere amato è catturato e distolto da persone, oggetti o azioni che ai suoi occhi agiscono come altrettanti rivali secondari.

FESTA – Il soggetto amoroso vive ogni incontro con l’essere amato come una festa.

IDENTIFICAZIONE – Il soggetto s’identifica dolorosamente con qualsiasi persona (o qualsiasi personaggio) che nella struttura amorosa occupi la sua stessa posizione.

MOSTRUOSO – Il soggetto si rende improvvisamente conto di stare soffocando l’oggetto amato chiudendolo in una rete di soprusi: di colpo, da individuo sventurato che desta compassione, egli si sente diventare un essere mostruoso.

PERCHE’ – Mentre da un alto si domanda ossessivamente perché non è amato, dall’altro il soggetto amoroso continua a credere che in fin dei conti l’oggetto amato lo ama, solo che non glielo dice.

PIANGERE – Piangendo, voglio impressionare qualcuno, fare pressione su di lui (“Guarda che cosa hai fatto di me”). Questo qualcuno potrebbe essere – ed è quasi sempre – l’altro, che si vuole in questo modo costringere ad assumere apertamente la sua commiserazione o la sua insensibilità; ma potrei anche essere io stesso: mi faccio piangere per provare a me stesso che non è un’illusione: le lacrime sono dei segni, non delle espressioni. Attraverso le mie lacrime io racconto una storia, do vita a un mito del dolore e da quel momento mi uniformo ad esso: posso vivre con il dolore perché, piangendo, mi do un interlocutore enfatico che riceve il messaggio più “vero”: quello del mio corpo e non già quello della mia lingua. “Cosa sono mai le parole? Una lacrima sola dice assai di più”.

RISVEGLIO – Modi diversi in cui il soggetto amoroso si ritrova, al suo risveglio, nuovamente assalito dall’assillo della sua passione.

ROVESCIAMENTO: – “Non riesco a capirti” vuol dire: “Non saprò mai che cosa pensi veramente di me”. Non posso decifrare te perché non so come tu decifri me.

SEGNI – Sia che voglia dar prova del suo amore, sia che si sforzi di decifrare se l’altro lo ama, il soggetto amoroso non ha a sua disposizion nessun sistema di segni sicuri.

Il soggetto amoroso si domanda non già se egli deve dichiarare all’essere amato il suo amore (non è una figura della confessione), ma in che misura deve nascondergli i “turbamenti” (le turbolenze) della sua passione: i suoi desideri, le sue angustie, in poche parole, i suoi eccessi (nel linguaggio raciniano: il suo furore).

L’amore acceca: questo proverbio è falso. L’amore spalanca gli occhi, rende chiaroveggenti: “Di te, su te, io posseggo tutto il sapere”. Dice il sottoposto al padrone: tu hai ogni potere su di me, ma io so tutto di te.

SUICIDIO – Nella sfera amorosa, il desiderio di suicidio è frequente: basta un niente per destarlo. …Idea di suicidio; idea di separazione; idea di ritiro solitario; idea di viaggio; idea di oblazione, ecc.; posso immaginare varie soluzioni alla crisi amorosa e difatti non faccio che pensare a questo. Eppure, per quanto alienato sia, io non ho difficoltà a cogliere, attraverso queste idee ricorrenti, una figura unica, vuota, che è poi quella della via di scampo; ciò con cui, con compiacenza, io vivo, è il fantasma d’un altro ruolo: il ruolo di qualcuno che “se la cava”.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

 

 

L’ATTACCO AL LEGAME

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L’attacco al legame è una modalità che viene messa in atto all’interno di una relazione da parte di uno dei due partner.
Se uno dei due partner presenta forti tratti di ambivalenza affettiva (come i borderline o i bipolari) oscilla costantemente fra il ‘ti amo’ ed il ‘ti odio’, fra idealizzazione e svalutazione dell’altro e della relazione. Inoltre tale partner ha una profonda paura di legarsi perchè ha paura di soffrire se la relazione dovesse finire.
Ed ecco che periodicamente attacca il legame per non legarsi troppo, per evitare di amare, per non soffrire, sortendo gli effetti opposti a quelli prefissi. Infatti più ‘attacca’ e più si lega, più soffre, più aumenta la sua paura della separazione. Tutto questo si riverbera sull’altro partner che subisce l’attacco in maniera speculare. Diventa necessario prendere atto di tale modalità relazionale al fine di poterla superare.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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LE COMPONENTI DELL’AMORE

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“(…) l’amore è costituito da tre componenti fondamentali:

  • l’impegno, l’insieme di conoscenze, affetti e comportamenti che segnalano la disposizione dell’individuo a proseguire un determinato rapporto
  • l’intimità, un processo che induce l’avvicinamento e l’esplorazione delle affinità e delle differenze fra due persone e che comporta l’espressione di emozioni o vario genere ed intensità, dalla passione alla rabbia, per cui implica necessariamente confidenza, fiducia, complicità,
  • la coesione, il grado di condivisione e di vicinanza vissute nel rapporto, che scaturisce dall’intimità e dalla convergenza degli interessi individuali”

“La psicologia dell’amore” – Sternberg Robert J. Barnes Michael L. (Bompiani Editore)

 

Sternberg , Professore di psicologia a Jale, in seguito ad alcune sue ricerche, ha formulato un concetto di amore completo, sulla base delle tre componenti fondamentali che ho riportato in apertura.

Da questa teorizzazione e dalla combinazione delle tre diversi componenti, derivano otto possibili tipi di relazione.

  • ” L’assenza di amore “: tutte e tre le componenti mancano; è la situazione della grande maggioranza delle nostre relazioni personali, casuali o funzionali.
  • ” La simpatia “. Presente solo l’intimità , si può parlare con una persona, parlare di noi, ci si riferisce ai sentimenti che si provano in una autentica amicizia e comporta cose come la vicinanza, il calore umano (ma non i sentimenti forti della passione e dell’impegno).
  • ” L’infatuazione “: Presente solo la passione . Quell’amore a prima vista che può nascere all’istante e svanire con la stessa rapidità. Vi interviene una intensa eccitazione fisiologica, ma senza intimità o impegno . La passione è come una droga, rapida a svilupparsi e rapida a spegnersi, brucia alla svelta e dopo un po’ non fa più l’effetto che si voleva: ci si abitua, arriva l’assuefazione.
  • ” L’amore vuoto ” l’impegno è privo di intimità e di passione : tutto quello che rimane è l’impegno a restare insieme. Un rapporto stagnante che si osserva talora in certe coppie sposate da molti anni: un tempo c’era l’intimità, ma ormai non si parlano più; c’era la passione, ma anche quella si è spenta da un pezzo.
  • ” L’amore romantico ” combinazione di intimità e di passione (tipo Giulietta e Romeo). Più di una infatuazione, è vicinanza e simpatia, con l’aggiunta dell’attrazione fisica e dell’eccitazione, ma senza l’impegno, come un’avventura estiva che si sa che finisce.
  • ” Amore fatuo “: passione e l’impegno, ma senza intimità . E’ l’amore da fotoromanzo: i due si incontrano, dopo una settimana sono fidanzati, e dopo un mese si sposano. S’impegnano reciprocamente in base all’attrazione fisica., ma dato che l’intimità ha bisogno di tempo per svilupparsi, manca il nucleo emotivo su cui può reggersi l’impegno. E’ un tipo d’amore che di solito non dà buon esito nel lungo periodo.
  • ” Sodalizio d’amore “:intimità e impegno reciproco, ma senza passione . E’ come un’amicizia destinata a durare nel tempo. Quel tipo di amore che spesso si osserva nei matrimoni dove l’attrazione fisica è scomparsa.
  • ” Amore perfetto o completo“: tutti e tre gli elementi sono presenti in una relazione.Raggiungere un perfetto amore, dice quest’autore, è come cercare di perdere un po’ di peso, difficile ma non impossibile; la cosa davvero ardua è mantenere il peso forma una volta che ci si è arrivati o tenere in vita un amore completo quando lo si è raggiunto. E’ un compito aperto, non una tappa raggiunta una volta per tutte. In questa visione, l’indice più valido per predire la felicità di una relazione è dato dalla consonanza tra triangolo ideale passivo (i sentimenti che si desiderano dall’altro) e il triangolo percepito (i sentimenti che si presuppongono dall’altro). La relazione tende a finir male se non c’è corrispondenza tra quello che si vuole dall’altro e quello che si pensa di riceverne: chiunque ha amato senza essere ricambiato altrettanto, sa quanto può essere frustrante. Alle volte si potrebbe consigliare di ridurre le proprie aspettative e diminuire il proprio coinvolgimento: ma è un consiglio difficile da seguire. In USA metà dei matrimoni finiscono in divorzio e anche chi non divorzia non è detto che viva in una coppia molto felice. La gente è davvero così stupida da fare sempre la scelta sbagliata? Probabilmente no: il fatto è che sceglie troppo spesso in base a quello che conta di più nell’immediato. Ma quello che conta nel lungo periodo è diverso: i fattori che contano cambiano, cambiano le persone e cambiano le relazioni.

Nella ricerca fatta sui fattori che tendono a diventare più importanti con l’andare del tempo, si sono rilevati questi tre:

  • la disponibilità a cambiare in funzione delle esigenze dell’altro
  • la disponibilità ad accettare le sue imperfezioni
  • la comunanza di valori, specie quelli religiosi.

Queste sono cose che è difficile giudicare all’inizio di una relazione: l’idea che l’amore vinca tutti gli ostacoli è molto romantica, ma poco reale. Quando si devono prendere delle decisioni, quando arrivano i figli e si devono fare alcune scelte, una cosa che sembrava poco importante, lo diventa. Altri fattori invece nel lungo periodo diventano secondari: come l’idea che l’altro sia “interessante” (all’inizio c’è il timore che se cala l’interesse la relazione svanisce). In realtà quasi tutto tende a diminuire col tempo (nelle coppie studiate statisticamente): calano la capacità di comunicare, l’attrazione fisica, il piacere di stare insieme, gli interessi in comune, la capacità di ascoltare, il rispetto reciproco, il trasporto romantico… può essere deprimente, ma è importante fin dall’inizio sapere che cosa aspettarsi col tempo, avere aspettative realistiche circa quello che si potrà ottenere e quello che finirà con l’essere più importante a lungo andare.

Sternberg propone un ultimo triangolo: quello dell’azione. Ad ogni componente dell’amore corrispondono delle azioni e non solo pensieri:

  • La passione richiederà il contatto fisico, la sessualità, la varietà e non la monotonia dei comportamenti sessuali.
  • L’ intimità richiederà la comunicazione dei propri sentimenti interiori, l’offerta del sostegno emotivo, la condivisione del proprio tempo e delle proprie cose.
  • ‘impegno, infine, comporterà il fidanzamento, il matrimonio, la fedeltà, la capacità di superare i momenti difficili, la capacità di trovare un valido compromesso nelle diverse legittime esigenze ed aspirazioni.

E’ importante esprimere l’amore nei comportamenti perché il modo in cui ci comportiamo plasma i nostri modi di pensare e di sentire, forse non meno di quanto ciò che pensiamo e proviamo plasma le nostre azioni (se non agisci come pensi, finirai per pensare come agisci). Inoltre certe azioni portano ad altre azioni: le espressioni d’amore dell’uno influiscono su ciò che l’altro pensa di lui (sui sentimenti e sui comportamenti dell’altro nei suoi confronti) dando luogo così ad una serie di azioni che si rinforzano a vicenda.

 

Dott. Roberto Cavaliere

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TEORIA DELL’ATTACCAMENTO E STILI D’ATTACCAMENTO

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DEFINIZIONE DI ATTACCAMENTO: Propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore,impotenza o malattia . (Bowlby,1969)

 

La teoria dell’attaccamento ci fornisce una cornice evolutiva all’interno della quale è possibile comprendere meglio alcune dinamiche di coppia, scopo principale del sito. Infatti le modalità con cui ci leghiamo affettivamente ad un‘altra persona riflettono le nostre primarie esperienze di attaccamento.

Il termine“attaccamento” può essere interpretato in 3 diversi modi : a) comportamento di attaccamento ; b) sistema comportamentale di attaccamento ; c) legame d’ affetto. ha un significato generale e rimanda alla condizione di attaccamento di un soggetto: il sostenere che un bambino ha un attaccamento vuol dire che egli avverte il bisogno di percepire la vicinanza ed il contatto fisico con una persona di riferimento, soprattutto in particolari situazioni.

La tendenza all’attaccamento opera con massima intensità nella prima infanzia quando maggiore è la vulnerabilità ai pericoli e minore la capacità di fronteggiare da soli situazioni di disagio

La costituzione nella prima infanzia, di un attaccamento sano e di una fiducia di base, dipende dalla presenza e dalla capacità di risposta dei genitori o di altri significativi, ai segnali ed ai bisogni del bambino.

Secondo Bowlby l’attaccamento è un qualcosa che, non essendo influenzabile da situazioni momentanee, perdura nel tempo, si struttura nei primi mesi di vita intorno ad un’unica figura; molto probabile è che tale legame si instauri con la madre, dato che è la prima ad occuparsi del bambino, ma, come Bowlby ritiene, non sussiste nessun dato che avalli l’idea che un padre non possa diventare figura di attaccamento nel caso in cui sia lui a dispensare le cure al bambino. La qualità dell’esperienza definisce la sicurezza d’attaccamento in base alla sensibilità e disponibilità del caregiver (madre) e quindi la formazione di modelli operativi interni, che andranno a definire i comportamenti futuri (relazioni). Con la crescita, l’attaccamento che si viene a formare tramite la relazione materna primaria o con un “caregiver di riferimento”, si modifica e si estende ad altre figure, sia interne che esterne alla famiglia, fino a scomparire: nell’adolescenza e nella fase adulta il soggetto avrà maturato la capacità di separarsi dal caregiver primario e legarsi a nuove figure di attaccamento.

“Una caratteristica fondamentale è il concetto di chi siano le figure di attaccamento, di dove le si possa trovare, e di come ci si può aspettare che reagiscano. Analogamente, nel modello operativo del Sè che ciascuno si costruisce, una caratteristica fondamentale è il concetto di quanto si sia accettabili o inaccettabili agli occhi delle figure di attaccamento. Sulla struttura di questi modelli complementari l’individuo basa le sue previsioni di quanto le sue figure di attaccamento potranno essere accessibili e responsive se egli si rivolgerà a loro per aiuto… Dalla struttura di quei modelli dipendono inoltre la sua fiducia che le sue figure di attaccamento siano in genere facilmente disponibili e la sua paura più o meno grande, che non lo siano” (J. Bowlby, Attaccamento e perdita, vol. 2: La separazione dalla madre. Torino, Boringhieri, 1975).

Leggi anche la pagina sulle Riflessioni di Bowlby

STILI DI ATTACCAMENTO

La qualità della relazione tra il bambino e chi lo accudisce plasma l’espressione innata dell’attaccamento del bambino e la rappresentazione mentale di sé, dell’altro e della relazione.

Bowlby riteneva che l’attaccamento si sviluppa attraverso alcune fasi e che possa essere di tipo “sicuro” o “insicuro”. Un attaccamento di tipo sicuro si ha se il bambino sente di avere dalla figura di riferimento, protezione, senso di sicurezza, affetto; in un attaccamento di tipo insicuro invece il bambino riversa sulla figura di riferimento comportamenti e sentimenti come instabilità, prudenza, eccessiva dipendenza, paura dell’abbandono.

Bowlby identifica quattro fasi attraverso le quali si sviluppa il legame di attaccamento. La prima va dalla nascita fino alle otto-dodici settimane: in questo periodo il bambino non è in grado di discriminare le persone che lo circondano anche se può riuscire a riconoscere, attraverso l’odore e la voce, la propria madre. Superate le dodici settimane il piccolo comincia a dare maggiori risposte agli stimoli sociali. In un secondo momento il bambino, pur mantenendo comportamenti generalmente cordiali con chi lo circonda, metterà in atto modi di fare sempre più selettivi, soprattutto con al figura materna. Fra il sesto ed il settimo mese, il bambino diviene maggiormente discriminante nei confronti della persone con le quali entra in contatto e dal nono mese l’attaccamento con il caregiver si fa stabile e decisamente visibile: il bambino richiama l’attenzione della figura di riferimento, la saluta, la usa come base per esplorare l’ambiente, ricerca in lei protezione in particolare se si trova a cospetto di un estraneo. Il comportamento di attaccamento è stabile e profondo fino a circa tre anni, età in cui il bambino acquisisce la capacità di mantenere tranquillità e sicurezza in un ambiente sconosciuto; deve però essere in compagnia di figure di riferimento secondarie ed avere la certezza che il caregiver faccia presto ritorno.

ABBIAMO 4 PATTERN DI ATTACCAMENTO E DIVERSI MODELLI OPERATIVI INTERNI DI SE’ E DI CIASCUNA FDA (figura di accudimento)

STRANGE SITUATION

Mary Ainsworth ha analizzato l’organizzazione dell’attaccamento in età infantile attraverso una situazione sperimentale definita “strange situation” in cui venivano osservate le risposte di un bambino fra i 12 ed 18 mesi, posto in una stanza non familiare con un adulto estraneo e la propria madre. I tre momenti fondamentali:

  • Quando il genitore si allontana;
  • Quando il bambino rimane nella stanza con l’estraneo ed i giochi;
  • Quando si ricongiunge al genitore.

 

A: ATTACCAMENTO EVITANTE

Se la madre lo lascia solo non protesta, piange non la segue e quando torna dopo una breve separazione evita ogni contatto con lei, continua a giocare distogliendo lo sguardo da lei o volgendole attivamente le spalle.

MODELLO DI ACCUDIMENTO CORRISPONDENTE

Le fda di bambini con attaccamento evitante si dimostrano sensibilmente propense a ignorare o respingere le richieste di vicinanza dei figli

Mimica rigida nell’interazione col bambino o mimica che esprime il desiderio di tenerli a distanza

Modello operativo interno di sé e della fda

Immagine di sé come di un essere “poco amabile“, che deve tenersi a distanza anche se desidera la vicinanza; “sé“ privo della capacità di suscitare nell‘altro risposte positive e affettuose.

Fda indisponibile alle proprie richieste di aiuto e vicinanza

Sviluppi: Alterna momenti di indipendenza a momenti in cui si affanna a cercare la madre. L’indifferenza ed il mancato contenimento di lei non permettono al bambino l’elaborazione degli affetti negativi nei suoi confronti (dolore, rabbia..) che, scissi da quelli postivi, vengono ben presto incanalati in ambito sociale (atteggiamento ribelle e contestativo) o rimossi.

B: ATTACCAMENTO SICURO

Quando la madre lo lascia solo con un estraneo protesta intensamente ma appare prontamente rassicurato dal ritorno della madre.

L’attenzione del bambino è orientata coerentemente sia al genitore che si allontana, per richiamare la sua attenzione, sia è libera di rivolgersi all’esplorazione quando è in sua presenza, focalizzandola fluidamente sul gioco, o su di lui, ora esplorando, ora mostrandogli i risultati della sua esplorazione.

Stile di accudimento corrispondente

Le madri di bambini con attaccamento sicuro sono stabilmente disponibili a rispondere positivamente alle richieste di vicinanza e conforto

Modelli operativi interni di sé e della fda

Immagine di sé come di un essere degno di amore le cui esigenze di conforto hanno valore e significato

Fda come disponibile e degna di fiducia

Sviluppi: il bambino ha sviluppato fiducia nella presenza stabile della madre, da cui si sente contenuto, accolto e motivato all’esplorazione. E’ un bimbo sereno, che, rispecchiandosi in lei, ha maturato fiducia in sé e nelle proprie risorse.

C: ATTACCAMENTO ANSIOSO-RESISTENTE (ambivalente)

Quando la madre lo lascia solo con un estraneo protesta intensamente ma non appare prontamente rassicurato dal ritorno dela madre: preso in braccio continua a piangere, mostrando resistenza ai tentativi di rassicurazione della madre.

Stile di accudimento corrispondente

Le madri dei bambini C danno delle risposte imprevedibili. Possono essere ipercontrollanti ed intrusive, bloccando il bambino nei suoi tentativi di gioco ed esplorazione autonoma

Modelli operativi interni di sé e della fda

2 modeli operativi di sé e della fda opposti:

  • Immagine di sé come amabile e della fda come disponibile e degna di fiducia
  • Immagine di sé come non amabile e della fda come non disponibile.

Succesivamente si può formare una struttura sovraordinata

  • Sé e l‘altro come oggetti suscettibili di controllo.

Sviluppi: il bambino è passivo, esplora poco, ha bisogno costantemente di essere accudito. E’ introverso, timido e compiacente per essere accolto. Si mostra costantemente angosciato a causa dell’incostanza della madre (disponibile in modo discontinuo o incoerente, offrendo ad esempio un accadimento anaffettivo), e si aggrappa a lei temendo l’abbandono.

D: ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO E DISORIENTATO

Essi presentano dei comportamenti disorientati, disorganizzati e non direzionati: strillano cercando il genitore attraverso la porta e se ne allontanano durante la riunione, si avvicinano ad esempio alla fda con la testa voltata dall’altra parte, come se non potessero organizzare il proprio comportamento nè nel senso dell’avvicinamento né nel senso dell’evitamento.

Stile di accudimento corrispondente

Le ricerche hanno individuato una sofferenza delle fda a causa della mancanza di elaborazione di un lutto oppure di gravi eventi traumatici nelle relazioni con le proprie fda. Sono fda immerse in un doloroso mondo interiore e/o che incutono paura.

Modelli operativi interni di sé e dell’altro

Abbozzi multipli:

  • Sé accettabile e fda disponibile
  • Sé come vittima impotente di un altro minaccioso
  • Sé come pericoloso per le persone amate
  • Se e fda come deboli di fronte a pericoli esterni

Sviluppi: l’ultimo tipo di attaccamento descritto da Bowly origina da gravi mancanze della madre (violenza, maltrattamenti, abusi) che generano personalità borderline o psicotiche.

STILI D’ATTACCAMENTO IN ETA’ ADULTA

(tratto da Attaccamento e amore, Attili, 04, Edizioni Il Mulino)

Attaccamento sicuro – L’amore sicuro

Da adulto, sarà semplice, per il soggetto sicuro, riconoscere con precisione le persone a cui legarsi sentimentalmente. Egli, infatti, inconsapevolmente, si lascerà coinvolgere in relazioni che confermino i suoi modelli interni “sicuri”. Di conseguenza, si orienterà verso persone per lo più sicure, che dimostrino palesemente i propri sentimenti, e con cui poter condividere in maniera comunicativa i momenti tristi e quelli felici della propria esistenza, in modo da confermare la propria percezione di persona degna di essere amata e curata. Inoltre, avendo avuto esperienza di un rapporto di totale fiducia con la propria madre, tenderà a dar vita a legami sentimentali poco ossessivi, basati, cioè, sulla fiducia reciproca, utilizzando il proprio partner come base sicura da cui dipendere, ma allo stesso modo, da cui partire autonomamente, per le continue esplorazioni dell’ambiente circostante. Infine, il soggetto “sicuro”, impegnato, nella maggior parte dei casi, con partners altrettanto “sicuri”, presenterà un alto livello di consapevolezza circa la sua relazione e i possibili momenti di alti e bassi a cui andrà incontro, cercando di volta in volta, le strategie adatte al superamento di quelli difficili. Sono, dunque, per lo più correlate a soggetti sicuri, storie stabili e durature

Attaccamento ansioso ambivalente – L’amore ossessivo

In campo amoroso,tale soggetto sarà più volte trascinato dal vortice della passione, pensando di aver trovato la persona giusta. In realtà, andrà incontro ad idealizzazioni eccessive di persone che presentano, al contrario, proprio quei tratti caratteriali che egli stesso odia. Solo successivamente, si renderà conto di aver commesso uno sbaglio nella scelta, e a quel punto, soffrirà irrimediabilmente. Abbiamo, inoltre, sostenuto che il bambino che sperimenta una relazione con una madre imprevedibile, sviluppa dei modelli del sé, come di una persona da amare in maniera discontinua, ad intermittenza. Da quanto scritto, ne consegue che, all’interno di una relazione amorosa adulta, quando a prevalere saranno i modelli positivi del sé, come persona degna di amore, allora penserà di essere amato profondamente e rispettato dal partner, ma quando prenderanno il sopravvento i modelli negativi del sé, come persona vulnerabile e non degna di amore, allora sarà facilmente trascinato nel tunnel della gelosia più estrema, dando vita ad una relazione ossessiva, possessiva e autoritaria: non mancano, talvolta, reazioni di aggressività fisica piuttosto violente, o addirittura episodi che sfociano in delitti passionali. Il problema principale del soggetto insicuro-ambivalente è che “…rimane sempre nella fase dell’innamoramento. La sua ansia da separazione è sempre all’estremo. Il suo amore è sempre ossessivo. Il suo odio è sempre travolgente. La possibilità di esplorare il mondo, di essere contento e di amare sulla base della sicurezza che può offrire una relazione consolidata sono per lui dimensioni sconosciute. Per lui quello non è amore!

Attaccamento evitante/distanziante – L’amore freddo/distaccato

Coloro che da bambini, fanno esperienza di una madre “rifiutante”, che, cioè, non risponde con prontezza, efficienza e calore alle richieste di aiuto e conforto, elaborano un modello di attaccamento definito “ansioso-evitante”. Questi sfortunati individui, al contrario dei soggetti sicuri, non sviluppano la loro personalità a partire dalla sicurezza di una base sicura cui far riferimento: non godono, cioè, in alcun modo di sicurezza affettiva. Ne consegue la formazione di “…Un modello mentale del sé come di persona non degna di essere amata, che deve contare solo su di sé, e un modello mentale della madre come di persona cattiva dalla quale non aspettarsi alcunché” (Attili, 2004, p. 111). Naturalmente, ai soggetti in questione, sfugge la consapevolezza delle proprie rappresentazioni mentali, che operano a livello inconscio, influenzando lo sviluppo della personalità e, in particolare, le esperienze relazionali presenti e future. L’imperativo categorico degli individui con attaccamento ansioso-evitante consisterà, durante la propria esistenza, nel non farsi coinvolgere emotivamente nelle relazioni interpersonali instaurate, e la loro vita sarà improntata tutta sul desiderio di conquista di un’autonomia e autosufficienza personale che escludano, in caso di necessità, il ricorso agli altri, considerati individui inaffidabili e su cui contar poco. Questa vera e propria strategia di vita, in realtà, non è altro che una misura di prevenzione contro il rischio di ulteriori delusioni, dovute ad esperienze di eventuali rifiuti. (“…Per non correre il rischio di essere rifiutati, sopprimono la loro emozionalità” (Attili, 2004)

Attaccamento disorganizzato – L’ amore patologico

Si tratta di modelli di attaccamento che rimandano a storie di abuso e maltrattamento da parte della figura allevante, nei confronti del proprio bambino. I bambini che sperimentano questo tipo di legame, presentano, durante la Strange Situation , dei comportamenti alquanto anomali: restano immobili, si dondolano, si coprono gli occhi alla vista della madre, danno vita ad una serie di comportamenti piuttosto stereotipati. Essi, elaborano, durante l’infanzia, delle rappresentazioni interne della relazione, confuse e incoerenti. La conseguenza di tali esperienze pregresse è, nell’età adulta, l’intervento dei modelli interni nell’interpretazioni degli eventi della realtà, che restano sempre oscurati da un velo di confusione e incontrollabilità, e anneriti da una visione piuttosto catastrofica. In amore, questi soggetti, spesso, sono incapaci di scegliere partners affidabili, correndo il rischio di farsi coinvolgere in relazioni distruttive, con persone violente e aggressive (Attili, 2004). D’altro canto, gli stessi individui con modelli interni di tipo disorganizzato, tendono a dar vita, e a mantenere nel tempo, relazioni improntate su modalità comunicative violente e fredde, presentandosi come partners e genitori maltrattanti, o abusanti.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

LE TIPOLOGIE D’AMORE SECONDO BERGMANN

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«La fine dell’amore porta con sé un aumento della rabbia e dell’aggressività dirette ora contro l’amante che li ha abbandonati, ora contro il Sé. Si ha l’impressione che in precedenza l’odio fosse trattenuto dall’amore, ma che ora le chiuse dell’odio e della depressione minaccino di schiacciare la persona colpita dal lutto». Martin S. Bergmann “Anatomia dell’ amore” (Einaudi, Torino, 1992)

 

Lo psicoanalista americano Martin S. Bergmann ha classificato le modalita’ di amare nel suo libro “Anatomia dell’ amore” (Einaudi, Torino, 1992), distinguendone ben quindici tipologie.

Le principali tipologie d’ amore individuate da Bergmann sono:

INFATUAZIONE. E una passione spropositata e irragionevole, che e’ caratterizzata dall’ immediato abbandono di tutti i legami precedenti e dal fatto che diventa presto una passione assolutamente esclusiva. Ma e’ un vero fuoco di paglia, e la sua fine e’ tanto repentina quanto improvviso e violento e’ stato il suo inizio.

TRIANGOLO D’ AMORE. Per sua natura l’ amore sarebbe portato a restare confinato nella coppia, ma chi e’ uomo di mondo sa che questa sembra destinata a diventare piu’ l’ eccezione che la regola. Effettivamente molte persone riescono ad amare soltanto all’ interno del classico triangolo, altrimenti si sentono soffocate. Secondo la psicoanalisi la capacita’ di amare unicamente in un rapporto triangolare indica il persistere di problemi legati alla fase edipica dello sviluppo.

AMORE CONFLITTUALE. E un’ altra varieta’ che caratterizza le persone alle quali la coppia va decisamente stretta. Questo tipo di amore si distingue per la presenza del bisogno di oggetti d’ amore supplementari, oltre a quello, per cosi’ dire, istituzionale. Gli psicoanalisti ritengono che nell’ infanzia delle persone che provano questo tipo di bisogno ci siano stati molti oggetti d’ amore diversi (per esempio varie bambinaie).

SESSUALITA SENZA AMORE. Ci sono rapporti basati su un’ intensa relazione sessuale senza che si sviluppino concomitanti sentimenti d’ amore. Sembra che una delle principali differenze rispetto ai veri rapporti d’ amore sia nel fatto che in questi ultimi le persone regrediscono un po’ verso l’ infanzia, in sostanza son piu’ capaci di giocare, mentre nel rapporto puramente sessuale i due partner restano sempre a livello adulto.

AMORE MASOCHISTICO. “L’ amore e’ una nebbia formata col vapore dei sospiri” scriveva Shakespeare, a voler sottolineare come la sofferenza sia una parte integrante del godimento che proviene dall’ amore. In questo senso l’ amore masochistico deve essere considerato, quindi, soltanto un’ esagerazione di quel sentimento di dedizione totale che si prova sempre durante l’ innamoramento.

AMORE DI PIGMALIONE. Descritto per la prima volta dal poeta latino Ovidio, questo tipo di amore ha come sua principale caratteristica una forte valenza pedagogica. Chi ama sente il bisogno di istruire l’ altro, e ogni circostanza e’ buona, per modellarlo a proprio piacimento. “L’ amore di Pigmalione spesso porta a rapporti felici e duraturi . afferma Bergmann . ma corre gravi rischi quando l’ allievo vuole l’ uguaglianza e intende asserire la propria individualita’ “.

AMORE INIBITO NELLA META. E una forma di amore che frequentemente fa da musa ispiratrice per gli artisti, come nel caso di Dante che certo provo’ tale sentimento nei confronti di Beatrice. La meta inibita, ovviamente, e’ la sessualita’ , che in tale forma di amore e’ totalmente assente. E quando viene a mancare in tal modo anche ogni forma di gelosia, praticamente si sfocia nell’ amicizia.

GLI AMOREDIPENDENTI. Cosi’ Bergmann descrive questo tipo di persone che furono individuate dallo psicoanalista Otto Fenichel: “Hanno bisogno d’ amore come altri del cibo o della droga. Sebbene abbiano una limitata capacita’ di amare hanno un terribile bisogno di essere amati. In genere gli amoredipendenti si attaccano a una persona che considerano insoddisfacente. Sono furiosi e infelici, ma non riescono a liberarsi del partner frustrante. Per Fenichel gli amoredipendenti sono nevrotici con un carattere determinato da una fissazione del tutto particolare. Tormentano in continuazione il partner per avere piu’ amore e di solito non fanno altro che ottenere il risultato opposto”.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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IL TRADIMENTO SECONDO HILMAN

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C’è  una  storiella,  molto diffusa, che  dice  pressappoco cosi:

«  Un  padre  insegnava  al  figlioletto  ad  essere  meno pauroso, ad avere più coraggio, facendolo saltare giù da una scala. Mise il bimbo sul secondo  gradino e disse: « Salta che ti prendo. » e il bimbo saltò. Poi lo mise sul terzo gradino dicendogli ancora: « Salta che ti prendo. » Sebbene il bimbo fosse impaurilo, si fidò di suo padre, fece ciò che gli era stato detto e saltò nelle sue braccia. Poi il padre lo mise sul quarto  gradino, sul quinto, sul sesto, dicendo ogni volta: « Salta che ti prendo. » ed ogni volta il bimbo saltò e fu preso da suo padre. E così continuarono  finché il bimbo saltò da un gradino molto alto, ma questa volta il padre si tirò indietro e il bimbo cadde a faccia in giù. Mentre si rialzava, sanguinante e piangente, il padre gli disse: « Questo ti insegni a non fidarti mai di nessuno anche se è tuo padre. »

Questo storia io credo che ci possa dire molto sul tema del tradimento. Ad esempio: perché si  deve insegnare ad un ragazzo a non fidarsi?  e a non fidarsi di suo  padre?

  • Che senso ha essere traditi dal  proprio padre o da  qualcuno che  si ama?
  • Che senso ha per  un padre, per un uomo, tradire qualcuno  che  ha  fiducia  in  lui?
  • Qual  è  il  fine  del  tradimento nella vita psicologica? Queste sono le domande che ci poniamo.

Non è possibile avere fiducia senza la possibilità del tradimento. E’ la moglie che tradisce il marito,il marito che inganna la moglie; sono i compagni e gli amici che deludono; è l’amante che usal’amico per raggiungere il potere; è l’analista che scopre i segreti del paziente; è infine ilpadre che lascia cadere il figlio. La promessa fatta non è mantenuta, la parola data viene mancata,la fiducia diviene inganno. Il tradimento ci viene proprio da quei rapporti dove la fiducia  primaria  è  possibile.  Noi  possiamo  essere veramente traditi solo quando ci fidiamo veramente — da fratelli, amanti, mogli, mariti, e non da  nemici o da estranei. Più grandi sono l’amore, la lealtà, l’impegno, l’abbandono, e maggiore è il  tradimento. La fiducia ha in sé il germe del tradimento.

Quando in una unione esiste la fiducia, il rischio del tradimento diviene una possibilità reale con cui vivere continuamente e quindi è parte della fiducia, proprio come il dubbio è parte della fede vivente.

Vivere o amare solo quando ci si può fidare, quando si è  sicuri ed accolti, quando non si può essere abbandonati o feriti, quando ciò che è stato espresso in parole è impegnativo in eterno, significa essere fuori dalle vie del male e quindi fuori della vita reale. E non importa quale sia il calice della fiducia, se la analisi, il matrimonio, la chiesa, la legge, o un qualsiasi rapporto umano… vorrei addirittura dire il rapporto col divino.

Se ci viene data assicurazione che ne usciremo intatti, o addirittura arricchiti, che cosa abbiamo dato? Se saltiamo dove ci sono sempre braccia per  riceverci, il nostro non è un vero salto. Il rischio dell’ascesa non esiste più — a parte l’emozione del volo nell’aria, non vi è alcuna differenza fra il secondo gradino, il settimo, il decimo, o addirittura diecimila metri più su. E’ la fiducia primaria che permette al puer di volare cosi in alto. Padre e figlio sono una cosa sola, e le virtù maschili di abilità, rischio calcolato, coraggio, non hanno importanza: Dio o papa lo afferreranno in fondo alla scala. Soprattutto  è necessario non sapere in anticipo le cose. Non si deve sapere prima che questa volta nessuno ci prenderà in fondo alla discesa. Essere avvertiti significa essere premuniti e allora o non si salta  più, oppure si salta a metà… ma poi succede che una volta, nonostante una promessa, la vita interviene, accade l’incidente e si cade a faccia in giù. La promessa mancata è una intrusione che  la vita fa nella sicurezza del Logos, nella quale ci si può affidare all’ordine di tutte le cose e  il passato garantisce per il futuro. Ma è anche l’irruzione in un altro livello della coscienza, come vedremo più avanti.

Ma prima torniamo ancora alla nostra storia ed alle nostre domande.  Il  padre  ha   risvegliato  la  coscienza,  ha cacciato il ragazzo fuori dal giardino dell’Eden, brutalmente, con dolore, ha iniziato suo figlio. Questa iniziazione ad una nuova coscienza del reale passa attraverso il tradimento, attraverso il venir meno del padre e il suo mancare alla parola data; è  però un tradimento con una morale. Infatti la nostra è una storia morale, come  tutte  le  buone   storie  ebree.  Non  è  una  favola esistenzialista che  descrive  un acte  gratuite,  ne  una leggenda Zen tesa ad una illuminazione liberatrice, ma piuttosto una omelìa, una lezione, un istruttivo brano di vita reale.

Il padre dimostra di persona che anche nel rapporto più fiducioso  esiste la possibilità del tradimento. Egli svela la propria ingannevolezza, si presenta al figlio  nella sua nuda umanità, rivelandogli questa verità dell’essere  padre e  uomo: io,  padre, uomo, sono infido.  L’ uomo è infido. La parola non è affatto più forte della vita. …

L’iniziazione del ragazzo alla vita è l’iniziazione alla tragedia dell’adulto. Per certuni il tradimento è altrettanto schiacciante che la gelosia o il fallimento…

Il momento critico del « grande abbandono » quando veniamo crocifissi dalla nostra stessa fiducia, è un momento molto pericoloso di quello che la Wickes chiamerebbe « la scelta ». Le cose potrebbero andare in due modi per il bambino che si rialza dal pavimento, la sua resurrezione è in bilico. Potrebbe essere incapace di perdonare e rimanere fissato nel trauma, pieno di risentimento, vendicativo, cieco ad ogni comprensione di ciò che spero di riuscire ad abbozzare nel restante di questa nota.

Ma prima di occuparmi della possibile soluzione positiva del tradimento, vorrei attardarmi un poco sulla scelta negativa e sui pericoli che il tradimento porta alla luce. La prima di queste scelte sbagliate, anche se naturali, è il meccanismo di difesa della negazione.

Se in un rapporto veniamo abbandonati, siamo tentati di negare il valore dell’altra persona, di vedere, improvvisamente, tutte le sue ombre, una panoplia di demoni perversi che naturalmente nella situazione di fiducia primaria non esistevano. Questi lati negativi, rivelatisi tutto d’un tratto, sono una compensazione, una enantiodromia di idealizzazioni precedenti e la rozzezza di queste rivelazioni indica la grossolana incoscienza in cui prima si trovava l’Anima. Cosi dobbiamo ammettere che quando il rammarico per un tradimento è molto forte, in precedenza esisteva una situazione di fiducia primaria, di innocenza infantile inconscia nella quale l’ambivalenza era repressa…

Ma il mutamento improvviso da uno stato incosciente alla coscienza grezza è proprio di qualsiasi momento della verità ed anche piuttosto evidente — perciò non è questo il pericolo principale. Più  pericoloso  è  il cinismo.  Una  delusione  subita  in amore, in un credo politico, in un gruppo, da un amico, un superiore o un analista, porta spesso ad un mutamento nella persona tradita, la quale non solo nega il valore della relazione e della persona in causa, ma l’amore  in  genere  diviene  per  essa inganno,  la convinzione politica è per gli imbecilli, i gruppi sono trappole, le gerarchie sono il Male e l’analisi è prostituzione, lavaggio del cervello e impostura… « Fatti furbo e tieni gli occhi aperti. Colpisci l’altro prima che sia lui a colpire tè. Bisogna far da soli. Tutto bene, Jack… » Questa è la scorza per nascondere le cicatrici della fiducia tradita.  Con  i  frantumi  dell’idealismo  si  rabbercia  una solida filosofia di cinismo.

E’ tutt’altro che impossibile incontrare questa forma di cinismo specialmente nei più giovani, poiché non si è considerato con sufficiente attenzione il significato del tradimento e particolarmente il processo di trasformazione del puer eternus. La persona tradita giura di non salire più cosi in alto sulla scala. Rimane affondata nel mondo del cane, Kynis, cinico. Questo atteggiamento impedisce lo sviluppo verso il significato positivo del tradimento e forma così un circolo vizioso — e il cane rincorre la propria coda. Il cinismo, quel ghigno contro la propria stella, è il vero tradimento dei propri ideali, il tradimento delle proprie ambizioni più alte contenute nell’archetipo del puer. Quando questo si infrange, ogni cosa che ha a che fare con esso viene respinta e si giunge al terzo e, credo, principalmente pericolo: il tradimento di sé stessi.

Il tradimento di sé è forse ciò che ci preoccupa maggiormente. Uno dei modi con cui ci si arriva è proprio la conseguenza dell’essere stati traditi: nella situazione di fiducia,   nell’abbraccio  amoroso,   con   un   amico,   un parente, l’analista, mettiamo allo scoperto qualcosa di noi che avevamo tenuto nascosto:« Non l’avevo mai detto a nessuno prima… » Può essere una confessione, una poesia, una lettera di amore, una invenzione o un progetto fantasioso, un segreto, un sogno o una paura infantile, che contiene quel che in noi c’è di più profondo. Con il tradimento queste  perle  seminali,  delicate  ed  estremamente sensibili, divengono solo sabbia, granelli di polvere. La lettera d’amore diviene roba scioccamente sentimentale, la poesia, la paura, il sogno, l’ambizione, vengono ridotti a qualcosa di ridicolo, rozzamente derisi, definiti volgarmente « merde », robetta da niente. Il processo alchemico è rovesciato: l’oro è ridotto di nuovo a feci e le perle sono gettate ai porci. I porci non sono gli altri, dai quali dobbiamo tenere nascosti i nostri valori segreti, ma sono invece le rozze spiegazioni materialistiche, la ottusa riduzione di ogni cosa all’istinto sessuale e al desiderio del latte materno, che spiegano tutto indiscriminatamente. E la nostra insistenza porcina nel dire che la cosa più bella era in realtà la peggiore non è altro che il sudiciume in cui gettiamo via i nostri valor più preziosi.

E’ una strana esperienza trovarsi a tradire se stessi, rivolgersi contro le proprie esperienze dando loro i valori negativi dell’ombra ed agendo contro le proprie intenzioni ed il proprio sistema di valori. Nella rottura di un’amicizia, di una relazione, di un matrimonio, di un rapporto amoroso o di una analisi, tutta la bruttezza e la sporcizia si fanno improvvisamente avanti e si agisce nella stessa maniera cieca e sordida che si attribuisce all’altro; si giustificano le proprie azioni con un sistema di valori che ci è estraneo. In questo momento si è veramente traditi, dati in mano ad un nemico interno. E allora i porci si volgono contro di noi e ci sbranano.

Questa alienazione da noi stessi dopo il tradimento è estremamente protettiva. Non vogliamo essere più colpiti e poiché la ferita venne proprio dall’aver rivelato come siamo fatti, cominciamo con l’evitare accuratamente di ricascarci. Cosi fuggiamo e tradiamo noi stessi non vivendo la nostra condizione esistenziale (una divorziata di mezza età senza nessuno da amare) o il nostro sesso (« ne ho abbastanza degli uomini e sarò spietata come loro ») o il nostro tipo (« II mio sentimento, o intuizione, o qualsiasi altra cosa, era completamente sbagliato ») o la nostra vocazione (« La psicoterapia è uno sporco affare »). Infatti siamo stati traditi proprio nella fiducia che avevamo posta in questi fatti fondamentali della nostra natura. Cosi rifiutiamo di essere ciò che siamo, cominciamo ad ingannarci con scuse e pretesti e il tradimento di sé diviene niente altro che sofferenza non autentica. Non si vive più la propria forma di sofferenza, ma si tradisce se stessi per mancanza di coraggio  di  essere.

Oltre alla negazione, al cinismo e all’auto- tradimento c’è però un’altra possibile soluzione negativa, un altro pericolo, che chiameremo paranoide.

Anche questo è un modo di proteggere se stessi da un nuovo tradimento, creare cioè un rapporto perfetto. Rapporti di questo genere richiedono il giuramento di lealtà  e  non  tollerano incertezze nella  loro  stabilità. Il motto è: « Non mi devi abbandonare mai ». L’inganno deve essere respinto con affermazioni di fiducia, dichiarazioni di fedeltà eterna, prove di devozione, giuramento di segretezza. Non devono rimanere fessure; il tradimento deve essere escluso. Ma se il tradimento coesiste con la fiducia, come seme contrario in essa sepolto, l’esigenza paranoide di un rapporto senza possibilità di tradimento non può basarsi sulla fiducia, ma è piuttosto una convenzione intesa a escludere il rischio. Come tale appartiene più al potere che all’amore. E’ un ripiegamento verso un rapporto-logos rafforzato dalla parola, ma non sostenuto dall’amore.

 

… La distorsione paranoide delle relazioni umane è veramente grave. Quando un analista (o marito, amante, discepolo, amico) tenta di soddisfare le esigenze di un rapporto paranoide dando assicurazioni di lealtà ed escludendo di forza lo inganno, si allontana sicuramente dall’amore. Infatti, come abbiamo già visto e vedremo ancora, l’amore e l’inganno provengono dallo stesso lato sinistro.

ESTRATTO DAL LIBRO ‘IL TRADIMENTO’ DI JAMES HILMAN

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

36 DOMANDE CHE FANNO INNAMORARE

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Nel 1997 lo psicologo Arthur Aron e i suoi colleghi publicarono un saggio sul Personality and Social Psychology Bulletin che si intitolava “Experimental Generation of Interpersonal Closeness” (Creazione sperimentale di intimità interpersonale). Volevano scoprire se fosse possibile creare un contesto artificiale, “da laboratorio”, in cui due sconosciuti potessero legare tra loro e costruire un’amicizia profonda, o addirittura un rapporto romantico, in meno di un’ora.
Organizzarono una serie di esperimenti con alcune coppie di persone che non si conoscevano. Funzionava così: i due volontari entravano in una stanza vuota, e si sedevano uno di fronte all’altro e cominciavano a rispondere a una lista di 36 domande, fornita da Aron. Arrivati in fondo alla lista, i volontari dovevano guardarsi negli occhi per quattro minuti.
La durata dell’incontro non doveva superare i 45 minuti. Le domande sono queste:

Parte I

1. Chi vorresti avere come ospite a cena, se potessi scegliere tra tutte le persone al mondo?
2. Ti piacerebbe essere famoso? Per che cosa?
3. Ti capita mai di provare quello che devi dire PRIMA di fare una telefonata? Perché?
4. Com’è un giorno “perfetto”, secondo te?
5. Quand’è l’ultima volta che hai cantato tra te e te? E davanti a qualcun altro?
6. Se tu avessi la possibilità di vivere fino a 90 anni mantenendo la mente o il corpo di un trentenne per gli ultimi 60 anni della tua vita, quale sceglieresti tra i due?
7. Hai un presentimento segreto sul modo in cui morirai?
8. Elenca tre cose che tu e il tuo partner sembra abbiate in comune.
9. Per quali cose della tua vita ti senti più fortunato/grato?
10. Se tu potessi cambiare qualcosa del modo in cui sei stato cresciuto, quale sarebbe?
11. Prenditi quattro minuti e racconta al tuo partner la storia della tua vita il più possibile in dettaglio.
12. Se potessi svegliarti domani avendo acquisito una qualità o un’abilità, quale sarebbe?

Parte II

13. Se potessi vedere in una sfera di cristallo la verità su te stesso, la tua vita, il futuro o qualsiasi altra cosa, che cosa vorresti sapere?
14. C’è qualcosa che sogni di fare da tanto tempo? Perché non l’hai fatto?
15. Qual è il traguardo più importante che hai raggiunto nella tua vita, o il tuo più grande risultato?
16. Quali sono le cose che per te contano di più in un rapporto di amicizia?
17. Qual è il tuo ricordo più caro?
18. Qual è il tuo ricordo peggiore?
19. Se tu sapessi che entro un anno improvvisamente morirai, cambieresti qualcosa del modo in cui stai vivendo? Perché?
20. Che cosa significa l’amicizia per te?
21. Che ruolo hanno nella tua vita l’amore e l’affetto?
22. Elencate alternandovi cinque caratteristiche positive dell’altro.
23. Hai un rapporto stretto con la tua famiglia? Pensi che la tua infanzia sia stata più felice della media?
24. Che rapporto hai con tua madre?

Parte III

25. Ognuno dica tre frasi con il “noi”. Per esempio: “Siamo entrambi in questa stanza e ci sentiamo…”
26. Completa questa frase: “Vorrei avere qualcuno con cui poter condividere…”
27. Spiega al tuo partner le cose di te che sarebbe importante che sapesse, se diventaste molto amici
28. Di’ al tuo partner che cosa ti piace di lui/lei; sii molto onesto/a, e di’ anche cose che in genere non diresti a una persona che hai appena conosciuto
29. Racconta un episodio imbarazzante della tua vita.
30. Quando è stata l’ultima volta che hai pianto di fronte a un’altra persona? E da solo/a?
31. Di’ al tuo partner qualcosa che già ti piace di lui/lei.
32. Qual è – se esiste – l’argomento su cui non si può scherzare, per te?
33. Se tu stasera morissi senza poter più comunicare con nessuno, qual è la cosa che rimpiangeresti di non aver detto a qualcuno? Perché non gliel’hai ancora detta?
34. La tua casa prende fuoco, con dentro tutto quello che possiedi. Dopo aver salvato le persone che ami e gli animali, hai il tempo per fare un’ultima corsa dentro e portare via un solo oggetto. Quale sarebbe? perché?
35. Qual è il membro della tua famiglia la cui morte ti colpirebbe di più? Perché?
36. Parla di un tuo problema personale e chiedi al partner un consiglio su come lui o lei affronterebbe questo problema. Chiedigli anche di descriverti come gli sembra che tu ti senta rispetto al problema di cui hai scelto di parlare.

Grazie alla lista di domande due dei volontari si sono sposati sei mesi dopo l’esperimento, e tutti gli altri partecipanti, anche se non si sono propriamente innamorati, ammettono di essersi sentiti molto vicini alla persona con cui avevano condiviso il colloquio.
Dell’esperimento di Aron  ne ha parlato la scrittrice e accademica Mandy Len Catron.
Catron racconta di aver fatto l’esperimento in prima persona, piegando un po’ le condizioni di laboratorio alle sue esigenze: un bar invece di una stanza vuota, un collega invece di un perfetto sconosciuto. A pochi giorni di distanza ci ha provato anche un giornalista del Guardian.
Catron racconta la sua serata nel dettaglio e poi ammette che sì, per lei e il collega l’esperimento ha funzionato, e sottolinea che ancor più delle domande, il momento che li ha davvero avvicinati è stato quello in cui si sono guardati negli occhi in silenzio. Il giornalista del Guardian invece racconta che tra lui e la sua collega non è nato lo stesso tipo di rapporto (non si sono innamorati, insomma), ma dice che c’è stato un momento molto intenso in cui ha “visto” solo la donna che lo aveva accompagnato, e ha quasi pensato che fosse possibile: conferma che si è creata una forma di intimità tra loro, che era il vero obiettivo dell’esperimento.

Anche chi non si occupa di psicologia può intuire quali sono gli elementi combinati che rendono l’esperimento efficace. Il primo elemento è la struttura in tre parti delle domande: la prima parte sostituisce il chiacchiericcio formale e di circostanza che inaugura le conversazioni, ma ne accelera l’andamento. La seconda parte forza la conversazione verso temi molto personali, la terza parte approfondisce la seconda e ti obbliga a parlare dell’altra persona, e quindi a osservarla meglio per poter parlare di lei o di lui.
Il secondo elemento è lo spazio circoscritto e l’assenza di distrazioni (concreti nel caso dell’esperimento in laboratorio, metaforici e decisi “a tavolino” nel caso di Catron e del giornalista del Guardian) che obbligano le due persone a concentrarsi l’uno sull’altro: alle feste di adolescenti la stessa intuizione empirica sugli spazi porta gruppi di amici a chiudere in una stanza, un po’ per scherzo un po’ no, i due che “sarebbero carini insieme”. Ed è per lo stesso motivo che molte coppie nascono sui terrazzini minuscoli delle case dei non fumatori.
Il terzo elemento, su cui Catron insiste molto, è che non siamo abituati a farci i complimenti, e il momento in cui uno sconosciuto individua rapidamente in noi alcuni tratti positivi e ce li descrive è inaspettatamente piacevole.                Il quarto elemento è che parlare di cose dolorose e intime con uno sconosciuto è spesso molto più facile e liberatorio che farlo con una persona che si conosce (e ci porta a legarci alla persona nuova): è per questo che a volte ci si trova a raccontare qualcosa di molto profondo a una persona nuova e non si torna più sull’argomento se con la stessa persona si entra più in confidenza. L’ultimo elemento è che entrambe le persone hanno deciso consapevolmente di partecipare all’esperimento, e quindi sono alleate dall’inizio.

Come dice Catron, molto dell’efficacia dell’esperimento dipende dalla condizione emotiva dei volontari, che è una condizione preesistente: lei era nella disposizione giusta. L’intimità che si costruisce nasce, sì, da un contesto creato artificialmente, ma è reale.
Non può funzionare per tutti, ma può essere utile per quelle volte che si esce con qualcuno e ci si trova in imbarazzo e privi di argomenti.