AMORE PER I FIGLI

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L’amore per i figli nasce dalla testa
L’istinto di difesa si trova in una regione del cervello che guida i grandi a prendersi cura dei piccoli
LONDRA, (Regno Unito) – Sono tanti i motivi per cui papà e mamma si prendono cura della propria prole. Ci sono motivi romantici (figli dell’amore), motivi evoluzionisti (conservazione della specie), motivi di buon senso e motivi puramente organici. A questo proposito i neuro scienziati dell’Università di Oxford hanno scoperto la zona del cervello incaricata di questo tipico sentimento di cura genitoriale, giungendo a importanti conclusioni anche nella spiegazione dei cattivi comportamenti dei grandi.
LO STUDIO – La ricerca inglese, come riferisce l’agenzia di stampa Reuters, oltre a fornire una visione scientifica dell’amore parentale, è cruciale nello spiegare le crisi depressive post-parto e gli episodi in cui mamma e papà tradiscono questo istinto. Secondo Morten Kringelbach, neuro scienziato che ha collaborato alla realizzazione dello studio, «si tratta di una teoria che precede addirittura le teorie evoluzioniste di Darwin». In sostanza, se i genitori non prestano le cure necessarie ai piccoli sarebbe colpa di una scarsa attività di una zona del cervello chiamata corteccia media orbitofrontale, situata in prossimità di un’area deputata al riconoscimento facciale. Quest’area del cervello, come è stato osservato empiricamente, reagisce in maniera vistosa solo di fronte al viso dei bambini. E quando qualcosa si inceppa l’istinto di tenerezza può venire meno.
TUTTO L’AMORE CHE C’È – Desmond Morris, lo studioso che per primo ha applicato le teorie e le tecniche di osservazione dell’etologia all’uomo, aveva già spiegato moltissimo dell’amore per i figli, osservando come i neonati, per massimizzare le possibilità di sopravvivenza, possiedono naturalmente alcune caratteristiche fisiche che sembrano “studiate” per commuovere anche l’adulto più cinico, stimolando in maniera spontanea un istinto di protezione nei grandi. Le pupille dilatate, il modo di guardare, la forma della testa: tutto sembra congegnato da madre natura per suscitare la protezione. Ma la ricerca va molto oltre questa visione, e ne fa una questione di pura attività cerebrale: la velocità impressionante con cui il cervello reagisce alla vista di un viso infantile trasforma questa reazione in un istinto quasi irrefrenabile. E se tutto funziona, per l’equipe di Oxford, non basta il degrado culturale, sociale, economico, non basta l’egoismo e neppure la cattiveria (ammesso che esistano esseri umani naturalmente cattivi) a spiegare l’infanticidio o la negazione di cure ai nostri bambini.
Emanuela Di Pasqua27 febbraio 2008 (fonte www.corriere.it)

AMORE FRA COLLEGHI UTILE PER LA PRODUTTIVITA’

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Roma, 29 feb. (Adnkronos) – Scrivanie ‘roventi’ a vantaggio della produttività, almeno in Norvegia. Sembra infatti, secondo uno studio della sessuologa norvegese Elsa Aalmas, che l’amore faccia bene al lavoro: le relazioni tra colleghi favoriscono il rendimento. Alla ricerca, che confuta un diffuso pregiudizio contro i flirt in ufficio, fa eco uno studio condotto in Italia dall’associazione ‘Donne e qualità della vita’ che, sotto la guida dalla sessuologa Serenella Salomoni, ha approfondito l’argomento su un gruppo di 480 italiani fra i 25 e i 55 anni, concentrandosi sulle dinamiche di un eventuale rapporto con il proprio capo. Dalla ricerca norvegese emerge che un lavoratore su cinque ha avuto almeno una relazione con un collega, e una coppia su dieci si è formata proprio sul posto di lavoro. In generale, poi, la gran parte degli intervistati è convinta che una storia con un vicino di scrivania dia più felicità ed energia: dunque si rende di più. “Le persone che legano con i colleghi – assicura la Aalmas – conoscono meglio i propri sentimenti e questo produce più energia e più capacità di lavoro”. Ad analoghe conclusioni è arrivato lo studio italiano curato dalla Salomoni. Le persone intervistate e innamorate di un collega o di un superiore, sostengono di essere più produttive nel 65% dei casi. Un intervistato su tre afferma di superare abbondantemente l’orario di lavoro pur di stare vicino al partner. Con, a suo dire, ricadute positive per il proprio operato. Inoltre uno su due confessa di andare al lavoro più volentieri. Uno su cinque svela di portarsi perfino del lavoro a casa per mantenere un rapporto ideale e a distanza con la persona amata. Sempre secondo lo studio, non è vero che le relazioni in ufficio pregiudichino i rapporti di lavoro. Anzi: il 38% del campione sostiene di aver un buon rapporto con i colleghi, il 26% lo giudica discreto e il 36% grazie all’afflato amoroso pensa anche di più al lavoro. Inoltre, a tutto vantaggio dei datori di lavoro, chi è innamorato cambia posto mal volentieri. Un intervistato su sette ha addirittura rivelato di aver rifiutato offerte di altre ditte con aumenti di stipendio o promozioni solo per poter stare vicino alla persona amata. Nel dettaglio, il 65% delle donne innamorate in ufficio ha una relazione con un uomo in una posizione gerarchica superiore. Nel 20% dei casi la relazione è con un pari grado e soltanto il restante 15% del campione ha un flirt con un collega in una posizione inferiore. E le lavoratrici con una liason con un superiore sono anche disposte ad ammettere (una su tre) che tra i loro obiettivi c’è anche la possibilità di un avanzamento di carriera. Esigua, però, la percentuale di chi ammette di farlo esclusivamente per avanzare di grado. Appena il 15% delle donne definisce la propria relazione lavorativa ‘strumentale’, come il 5% degli uomini.
Dott. Roberto Cavaliere
Psicologo, Psicoterapeuta
Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)
per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

IN AMORE CHI E’ BASSO E’ PIU’ GELOSO

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AGI/AFP) – Parigi, 12 mar. – I bassi sono piu’ gelosi. Lo sostiene uno studio condotto congiuntamente dalle Universita’ di Groningen e Valencia. Dall’indagine su un campione rappresentativo di 549 spagnoli e olandesi, e’ emerso che i sentimenti di gelosia sono piu’ frequenti tra gli uomini e le donne di statura inferiore.
Ai partecipanti e’ stato chiesto di spiegare quanto si sentano gelosi e quali qualita’ di un potenziale rivale li mettessero piu’ a disagio. Ne e’ emerso che tra gli uomini e’ piu’ forte l’invidia per l’aspetto attraente, la ricchezza e la forza fisica dei rivali. Ma queste caratteristiche suscitano meno ansia tra chi dispone della “mezza bellezza” della statura.
Per le donne conta soprattutto l’avvenenza e il fascino, ma anche tra loro, quelle di statura superiore sono piu’ disposte a convivere con i pregi delle rivali. “Le donne alte sono piu’ dominanti e hanno piu’ capacita’ di combattere delle basse”, sostiene lo studio pubblicato dal New Scientist e dalla rivista Evolution and Human Behavior. Per fortuna, per le signore esiste ancora un’arma di riserva: i tacchi alti. (AGI)

Dott. Roberto Cavaliere

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E’ ALLARME PER IL SESSO ONLINE

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Gb. E’ allarme per il sesso online
Sondaggio del tabloid «Sun»: un inglese su tre ha iniziato una relazione via web. E Second-life «rovina» le famiglie

E proprio la rete è galeotta per un inglese su tre, che ha confessato di aver iniziato una relazione a sfondo sessuale grazie al web, mentre il 10% ha ammesso di essere andato a letto con almeno 11 partner incontrati online. Non solo. Un quarto degli intervistati ha pure confidato di usare internet alle spalle dei rispettivi compagni e addirittura l’80% non si è fatto problemi nel raccontare di visitare regolarmente siti pornografici, con le donne in leggera maggioranza per quanto riguarda il porno soft, mentre se parliamo di hardcore, qui i maschietti sono in netto vantaggio, con tre su quattro assolutamente «dipendenti» da questo tipo di visioni a luci rosse. Ovviamente, senza che in casa nessuno sospetti nulla, anche se un uomo su tre ammette di essere un «sex addict» della rete, mentre se parliamo di under-19, il dato supera addirittura il 50%, con conseguente distruzione della vita sociale ed affettiva.
QUADRO ALLARMANTE – Insomma, per stessa ammissione del giornale londinese, il quadro che se ne ricava è decisamente allarmante, sebbene figlio dei tempi, visto che negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento radicale nel modo di condurre le relazioni, con i cellulari (leggi sms ed mms) e la rete che hanno sostituito le precedenti forme di comunicazione e permesso una maggiore spregiudicatezza, avallata anche dall’anonimato (almeno nel caso del web). «Si è trattato di un cambiamento sociale mai visto prima – si legge sul tabloid – per questo l’educazione sessuale dei giorni nostri deve includere necessariamente anche le regole per il sesso sicuro su internet e i consigli per aiutare quanti sono affetti da tale dipendenza a stare lontani dalle emozioni facili del web, per concentrarsi sulla vita reale, spostando l’attenzione sulle loro relazioni sentimentali»..
ACCUSE A SECOND-LIFE – A dimostrazione di quanto pericolosa possa essere la rete per la vita sessuale, il giornale pubblica la testimonianza di Catherine Shilton, una quarantasettenne di Wellingborough la cui vita familiare è stata completamente distrutta dalla scoperta che il compagno aveva una doppia vita su «Second Life». «Era ossessionato da una donna americana incontrata nel mondo virtuale e stava inchiodato al computer per ore. Hanno iniziato a fare “cyber-sex” e lui si vantava con lei di quanto bravo fosse a letto. Quattro mesi più tardi, ha prenotato un aereo per andarla a trovare. A quel punto, gli ho detto che era tutto finito. “Second Life” ha rovinato una storia d’amore di dieci anni e tolto un padre a un bambino di cinque». La noia e il brivido della trasgressione sono state, invece, la molla che ha spinto il 35enne londinese Jason McClain a «surfare» sui siti porno. Peccato che la cosa gli abbia poi preso la mano, tanto da trasformarlo, per sua stessa ammissione, in un «porn addict».
VERA MALATTIA – «L’emozione che mi dava la visione di quelle immagini esplicitamente sessuali mi permetteva di evadere dalla monotonia della mia vita ed ero capace di restare persino due o tre ore di fila con lo sguardo fisso sul monitor, in uno stato di quasi trance. Quando ho realizzato che ero diventato un dipendente dal sesso, ho anche capito che era arrivato il momento di farla finita e mi sono dato da fare per superare la mia condizione. Ci sono riuscito perché non ero in uno stadio avanzato, ma questa storia mi ha insegnato che questo tipo di dipendenza deve essere trattata alla stregua di un problema di alcool, fumo o droga».
STORIE A LIETO FINE – Fortunatamente, però, la rete non viene vista solo come una peccaminosa dispensatrice di vizi, ma in qualche caso può davvero aiutare a dare una sterzata positiva a una vita sessuale altrimenti piatta e monotona (lo credono 4 intervistati su 5), mentre sono sempre di più quelli che hanno trovato l’amore grazie a unsito di appuntamenti online. Un esempio su tutti, quello di Sarah e Richard. Lei, mamma single 28enne e lui professore di computer 31enne, si sono incontrati online e dopo tre anni di fidanzamento, dal 2006 sono marito e moglie e, giurano, che non potrebbero essere più felici di così.

Simona Marchetti da www.corriere.it

Dott. Roberto Cavaliere

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CAUSE DEGLI ANNULLAMENTI ECCLESIASTICI

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Le cause degli annullamenti: dal disturbo narcisistico al delirio di gelosia
Nella relazione del 2007 raccolte le motivazioni dei processi arrivati a conclusione
ROMA – La stragrande quantità di cause di nullità derivano da un «vizio di consenso» (o incapacità consensuale). E, seguendo il testo della relazione annuale della Rota Romana del 2007, ci si imbatte in una serie di cause psichiche molto variegate, tutte collegate al canone 1095 del diritto canonico («grave difetto di discrezione di giudizio» e «incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio »).
Ecco alcuni casi accettati come ragione di annullamento: «disturbo affettivo bipolare», «disturbo di personalità schizoide», «disturbo di personalità antisociale», «disturbo di personalità narcisistico », «sindrome ansioso-depressiva conseguente alla morte del primo coniuge», «personalità ossessivo- compulsiva», «personalità passivo- aggressiva e dipendenza dalla madre», «personalità borderline », «disturbo di personalità antisociale e narcisistico», «disturbo con aspetti ipertimici e associato ad abuso alcolico», «disturbo di personalità istrionico», «immaturità affettiva e sessuale», «disturbo di personalità connesso, tra l’altro, a grave sofferenza cerebrale di origine traumatica», «disturbo di personalità con aspetti misti ed evitanti », «personalità globalmente psicopatica», «delirio di gelosia con abuso alcolico», «paranoia alcolica », «marcata irresponsabilità connessa a una nevrosi d’ansia con componenti ossessive, a sua volta legata a infermità somatiche del soggetto».
In un caso di immaturità di donna ha contato «la giovanissima età al momento del matrimonio, 15 anni, la gravidanza intervenuta e la bassa capacità intellettiva». Poi ci sono i casi di «simulazione del consenso». «Caso di matrimonio di convenienza, celebrato dalla donna convenuta solo per conseguire l’agiatezza economica ». «Mentalità divorzistica acquisita dalla moglie durante la permanenza in Inghilterra negli anni sessanta ». Oppure: «La donna subordinava la durata del matrimonio alla responsabilizzazione dell’uomo. Si sposò perché era rimasta incinta e non voleva sottoporsi a un secondo aborto, dopo quello già compiuto durante la relazione prematrimoniale ». Capitolo prole, ovvero la volontà di avere figli. Causa di nullità legate alla deliberata assenza di figli: «Forte repulsione verso l’idea di maternità», «prevalente considerazione della prospettiva lavorativa », «paura che i figli rivivano le proprie esperienze negative», «desiderio di tutelare la propria libertà ». Nel 2003 fece sensazione una sentenza legata alla «mascolinità sicula di un uomo» che rivendicava «esagerata supremazia sulla fidanzata », dicendosi pronto al divorzio se «la donna non fosse stata all’altezza». Sempre quell’anno viene dichiarato nullo un matrimonio in cui una ragazza incinta aveva costretto il fidanzato a sposarla «minacciando di abortire», un chiaro caso (per i giudici) di «timore invalidante il consenso». Nel 1993 fece discutere quella di una coppia che non credeva nell’indissolubilità del matrimonio in quanto «succube di teorie legate all’atmosfera negativa suscitata dall’introduzione del divorzio in Italia».
Paolo Conti15 marzo 2008 (fonte www.corriere.it)

 

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BOOM DELL’AMORE.IT – LA SPOSA PERFETTA E’ ONLINE

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Laura si chiama proprio Laura. Dice che non le interessa nascondersi dietro un nome di fantasia primo perché “è un nome così comune, ce ne sono milioni”, secondo perché “nascondersi da cosa? Di che ci sarebbe da vergognarsi? Di aver conosciuto mio marito in Internet? Non l’ho mica conosciuto nella dark room di un club sadomaso”.
Ride. “Comunque guardi che se poi uno si trova ed è felice per me anche la dark room va bene, per carità, è solo questione di gusti. Io sono una persona tranquilla, rispetto e voglio essere rispettata. Venivo da una serie di storie finite male e non volevo avventure, niente bar niente locali strani: volevo essere sicura di trovare un uomo serio e per questo Internet è il posto più sicuro che c’è”.
Il posto più sicuro che c’è. Lo dice così: punto, fine della frase. “Sì lo so cosa sta per rispondere: che sulle chat si fanno incontri torbidi, che è pieno il mondo di ragazze che spariscono e poi le trovano accoltellate dall’ultimo tizio dell’ultimo appuntamento, un maniaco seriale. Sarà anche vero, non dubito, ma il problema non è il luogo o il mezzo attraverso cui le persone si incontrano: sono le persone, come si comportano, cosa vogliono, che rischi prendono. Intendo dire che conoscersi in una chat o su un sito dedicato non è diverso da trovarsi in discoteca, a casa di amici, in assemblea all’università”.
“All’inizio sei sempre davanti a uno sconosciuto: vederlo in faccia o leggerlo e vederlo in video non è che sia tanto diverso. Da lì in poi sei tu che decidi, stabilisci le regole prendi le precauzioni: Internet è un posto neutro, sei tu che lo riempi di te”. Laura ha 33 anni, una laurea in filosofia “del tutto inutile a campare”, nessun lavoro nemmeno precario: quando ci incontriamo sta facendo la baby sitter alla figlia di un’amica, la bimba dorme. “Mi alleno. Il nostro nasce in primavera”.
Con Giovanni – conosciuto attraverso l’agenzia di incontri Internet “Parship”, una delle tre che Laura aveva esplorato – si sono sposati l’anno scorso. “Sono felicissima. Non mi ero mai trovata bene con un uomo come con lui, e sì che quando l’ho conosciuto non ero proprio una ragazzina. Dubito che la nostra storia sia interessante, però. E’ la storia normale di due persone normali. Insignificante…”, ride ancora. Vediamo.
Perché su Internet, innanzitutto. “Perché lo conosco, lo uso molto, mi piace. Ci passo tanto tempo libero, la sera invece della tv per esempio. Era un periodo che stavo molto da sola, ho detto: proviamo a vedere come funzionano queste agenzie per incontrarsi. Così, tanto per parlare con qualcuno. Avevo avuto due storie lunghe molto deludenti: avevo poca fiducia negli uomini, si può dire o è banale? Comunque sì, non mi andava tanto di uscire, vestirmi, incontrare. Meglio stare a casa e scrivere.
Della prima storia non c’è tanto da dire. Era un ragazzo del mio paese, ci siamo messi insieme a 16 anni, siamo stati fidanzati per 7. Mi veniva a prendere a scuola, cose così. Poi io mi sono trasferita per l’Università, sono andata a stare in città. E’ finita subito. Le storie a distanza non funzionano.
All’Università ho conosciuto un compagno di studi: 4 anni insieme, un inferno. Diciamo che la fedeltà non era una sua caratteristica. Ero gelosa in un modo ossessivo, tirava fuori il peggio di me. Per fortuna è finita. Mi sono trasferita ancora per cercare lavoro, c’è stata qualche storiella così, niente di che. Ero stanca, non avevo più voglia e neanche più tempo da dedicare a nessuno.
Ero fuori sede, conoscevo poca gente, stavo spesso sola, la sera, a casa. Così mi sono iscritta a due o tre di queste agenzie Internet: è gratis, è divertente. In quella dove ho trovato Giovanni c’è un filtro iniziale: devi fare un questionario molto lungo e dettagliato. Lungo, ci vuole almeno mezz’ora. Poi loro ti trovano una rosa di persone da proporti: a me una decina.
Danno un punteggio di compatibilità. Con Giovanni non avevamo un punteggio alto, eppure ho provato: mi è piaciuta la sua prima frase, una cosa tipo “siamo qui forse a cercare la stessa cosa”. Ci siamo scritti per mesi. Scriversi è bellissimo. Per posta si riescono a dire cose che altrimenti non ti diresti mai. Si aggiunge un’intimità incredibile. Per me era proprio il momento più bello del giorno: arrivare a casa la sera, alla fine della giornata, aprire il computer e mettersi a parlare. Raccontare, dire. Ascoltare. Bellissimo. Avevo anche un po’ di paura a incontrarlo: pensavo magari poi finisce tutto. Sa, quando ti vedi poi è diverso. Invece no, era proprio come mi aspettavo che fosse. Come lo volevo”.
E lui perché cercava una donna in Internet? “Perché non aveva tempo. Trentacinque anni, moltissimo lavoro fino a sera. Tanti lavori diversi. Arrivava a casa stanco, non aveva voglia di uscire. Quando ci siamo incontrati con tutto quello che ci eravamo scritti era come se ci conoscessimo da ragazzi: io lo sapevo che lui era così, ero sicura. Le volgarità, la gente che vuole solo storie da una sera, il pericolo: tutto questo si evita. Lo capisci subito se c’è un rischio, ci sono molti modi per evitarlo. Io chiudevo, per esempio. Stop, sparita. E poi la mia scheda parlava chiaro: sono risultata, dal test d’ingresso, una ragazza “sensibile e razionale in cerca di un rapporto stabile”.
Lui era compatibile con me. Per ogni dubbio si poteva consultare una psicologa, la consulente del sito: risponde a un telefono cellulare, te lo danno quando ti abboni, quando trovi il contatto con l’altro. Io mi sono abbonata per 6 mesi, 150 euro mi pare, e ho chiamato subito la signora. Le ho chiesto molti consigli su come comportarmi, se accettare o no di vederlo, quando, dove incontrarlo. Per esempio: non a casa. Ci siamo visti per strada, la prima volta, abbiamo preso un caffè. E’ passato del tempo prima che si aprisse una porta di casa…”.
Quasi un anno dopo si sono sposati. Rito civile, abito bianco, parenti e pochi amici. I vostri genitori sanno come vi siete conosciuti? “No. I miei no perché non ci parliamo molto, sto fuori da casa da quando ero ragazzina mi sono sempre mantenuta da sola anche all’università. Non abbiamo un grande rapporto, sono figlia unica, sarebbe stato difficile e non valeva la pena. Lui non l’ha detto perché i suoi sono anziani e, come dice sempre, “Internet non sanno nemmeno cosa sia”. Però i nostri amici lo sanno, tutti. E’ normale. Anche suo cugino ha incontrato la sua fidanzata così.
E’ più facile così che per strada, del resto”. Adesso il bambino. “Siamo proprio emozionati. Magari avremmo preferito fare qualche viaggio prenderci un po’ di tempo per noi ma è arrivato e va bene. Stiamo molto a casa, stiamo bene. Giovanni è senza nessun dubbio la persona migliore che abbia incontrato in vita mia. Retorico, banale? Io però l’avevo avvertita che la nostra è una storia qualunque: non c’è niente di strano, non interessa a nessuno”. ( 20 dicembre 2007 )

Dott. Roberto Cavaliere

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ADDIO VIA SMS

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Dal cellulare alle email, dilaga l’uso della tecnologia per comunicare la fine di una relazione. La ricerca di un sito britannico
Due parole secche: “Ti lascio”. E’ sempre un dramma sentirsele dire come termine di una relazione . Peggio ancora doverle leggere sul display di un cellullare o sullo schermo del pc.
Già, perché sembra stia diventando sempre più diffusa la pratica di scaricare la propria metà via sms o email .
Un sondaggio condotto da moneysupermarket.com mostra che almeno una persona su sette ha vissuto l’esperienza provata da Kevin Federline , l’ex marito di Britney Spears, il quale ha saputo da terzi della causa di separazione inoltrata dalla pepata mogliettina, mentre era impegnato nella registrazione di uno show.
Il sondaggio ha mostrato che il 15 percento delle 2.194 persone sentite ha subito la triste sorte di leggere il fatidico “Tra noi è finita” via sms o posta elettronica. Ma ci sono forse segnali di redenzione da patologia tecnologica: un quarto del campione nella fascia tra i 18 e i 24 anni – molto sensibile al fascino della tecnologia – ammette che, se si presentasse il caso, sceglierebbe una più tradizionale lettera cartacea . Della volontà di dirlo di persona non vi è tuttavia traccia.
Certo, il sistema può sembrare alquanto vigliacco , ma è sempre meglio di quanto fa il quattro percento del campione intervistato, che per terminare una storia d’amore semplicemente ha confessato di tagliare ogni comunicazione senza più dare notizia di sé.
“La maggior parte di noi spedisce mail o sms – dice Rob Barnes di moneysupermarket.com – quindi non cè da sorprendersi se molti usano questi strumenti anche per comunicazioni di questo genere, per quanto sia sgradevole”.
La pratica sembrerebbe inoltre investire tutte le culture e le latitudini. Di recente in Egitto, una donna ha chiesto chiarimenti ad un tribunale riguardo la validità legale della dichiarazione di divorzio ricevuta da suo marito tramite sms. La donna, Iqbal Abul Nasr , un’ingegnere del Cairo, aveva perso una telefonata da parte del coniuge e poco dopo ha letto sul suo telefono cellulare: “Divorzio da te perché non hai risposto a tuo marito”.
Certo, in questo caso bisogna considerare che in linea con la sharia , la legge islamica, non è necessario che gli uomini vadano in tribunale per presentare istanza di divorzio. Qualora la corte dichiarasse legittima la richiesta, si tratterebbe del primo caso mondiale di divorzio tramite sms. Ma non sembra che la cosa sia destinata a ripetersi. Il caso infatti ha scatenato sconcerto nel mondo musulmano e alcuni paesi, come la Malesia , hanno abolito la pratica. Articolo tratto da ALICE Notizie (www.alice.it)

 

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COSI’ FINISCE UNA STORIA D’AMORE E LA LETTERA DIVENTA UN OPERA D’ARTE

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La lettera è una qualunque lettera d’addio, se si può dire qualunque di un congedo. Breve, una paginetta. Accendi il computer un giorno e lei è lì. Sta tutta intera davanti a te nel primo foglio dello schermo. Premi il cursore per scendere, ne cerchi ancora ma non serve: è finita. Lui è garbato, formalmente ineccepibile, apparentemente addolorato. È colto, inoltre. Un uomo che sa usare le pause e gli a capo. Sa toccare le corde dell’altrui colpa sfiorandole appena, sa attribuirne un poco a sé come un difetto congenito, piccolo male non imputabile. Uno scrittore, forse. Di certo uno che lavora con le parole. Il repertorio è classico, si direbbe un’antologia. “Avrei preferito parlarti a voce, infine ti scrivo”. “Ho creduto che avrei potuto darti il bene” “che il tuo amore fosse benefico per me”. “Non ti ho mai mentito e non comincerò a farlo oggi”. “Mi dicesti che quando avremmo cessato di amarci non avremmo più potuto vederci: una regola che mi pare dolorosa e ingiusta. Tuttavia: non potrò diventare per te un amico”. Alcune specifiche di questa storia, poi l’inevitabile “ti ho amata nel mio modo e continuerò a farlo, non cesserò di portarti con me”. La chiusura, infine. “Avrei preferito che le cose andassero diversamente”. Le ultime quattro parole. “Abbi cura di te”.
“Take care of yourself, prenez soin de vous, cuidate mucho”. È qui, è sull’incongruenza emotiva di una frase che ha le sembianze di una premura – non si può respingere un invito così, eppure non si può accettare se allegato al dolore dell’addio – che Sophie Calle costruisce la sua opera d’arte. Il suo libro ha la copertina rosa, lucida come una carta di caramella. Se fosse tradotto in italiano (non lo è, per qualche misteriosa ragione non è tradotto nella nostra lingua nessuno dei suoi libri, nel resto del mondo oggetti di culto) s’intitolerebbe “Abbi cura di te”. Seduce fuori e tormenta dentro. Fa ridere e fa piangere, ammala e guarisce. Non si può lasciare senza averlo attraversato fino in fondo. Ci sono tutte le domande, tutte le risposte: c’è soprattutto un’ironia formidabile, una malinconica saggia ironia venata di amarezza, la medicina di ogni male.
Calle è un’artista tra le più amate del nostro tempo. Un’icona della modernità, una Louise Bourgeois del nuovo secolo. Il Centre Pompidou le ha dedicato per i suoi cinquant’anni una retrospettiva. La Francia le ha affidato il padiglione di quest’ultima Biennale di Venezia: lei lo ha dedicato a raccontare come finisce un amore. Ha proiettato i video ( guarda lo speciale interattivo ) di molte delle 107 donne che leggono la mail di addio del suo amante: celebri e sconosciute, Jeanne Moreau e una studentessa di scuola media, Luciana Littizzetto e una cartomante, Victoria Abril e una stella dell’Opera. Un avvocato, una psicanalista, Laurie Anderson, una scrittrice di parole crociate, una campionessa di tiro con la carabina, una esegeta di talmud, Maria de Medeiros, la figlia “segreta” di Mitterand, una giocatrice di scacchi. A ciascuna ha chiesto cosa significa abbi cura di te, come si fa ad averne, come si affronta e come si supera il vuoto spaventoso dell’assenza? Ciascuna ha risposto nel suo modo: con un referto, con una canzone, con un gioco. La mostra, a Venezia – “Take care of yourself” – è stata visitata da migliaia di persone, è ancora lì fino a fine novembre. Il tam tam sotterraneo (dei visitatori, delle visitatrici) ne ha fatto una meta di pellegrinaggio. Di seguito è venuto il libro, ormai introvabile. Più di quello del 1981, L’Hotel: Calle si fece assumere a Venezia come cameriera in un albergo, fotografò le stanze appena lasciate dai clienti, i letti sfatti i loro oggetti abbandonati. Più di The adress book, 1983: trovò un’agenda per strada, chiamò tutti i numeri chiedendo a chi rispondeva di parlarle del proprietario, pubblicò tutti i giorni su “Liberation” i resoconti delle interviste infine un volume col ritratto collettivo di un uomo mai visto. Più ancora di “Double game” scritto a quattro mani con Paul Auster: lui si ispira a lei per il personaggio di Maria nel romanzo Leviathan, lei si immedesima in Maria e ne veste i panni.
Torniamo all’amore, però. Alla lettera. Al libro e al cammino che si attraversa per prendersi cura di sé. In principio la ragione: che il testo passi all’esame dell’intelletto, i freddi strumenti del raziocinio. La e-mail è tradotta in codice morse, in linguaggio esadecimale, in braille, in stenografico e in codice a barre. In trascrizione fonetica, in sms. Poi l’analisi del testo come fosse un canto della “Divina Commedia”. Aspetto tipografico, paratesto, genere, enunciato, vocabolario, analisi logica e grammaticale. Lunghezza (con istogrammi in blu) delle ventidue frasi. Evidenza delle forme verbali: quanti gerundi, quanti imperativi, quanti condizionali. Frequenza del soggetto: io il triplo di tu. Riferimenti letterari. I Fratelli Karamazov, Resurrezione, La Repubblica di Platone. Per “abbi cura di te” senz’altro Emma di Jane Austen.
Ora che è stata sezionata come un corpo sul tavolo dell’anatomo patologo rivediamola da viva, questa lettera. Passi pure l’esame degli altri: le altre donne. Nelle mani di una cartoonist diventa una striscia comica, la giornalista di agenzia ne fa un lancio, il giudice una sentenza. La sessuologa risponde con una ricetta su carta intestata dell’ospedale: “No, non posso prescriverle antidepressivi. Lei è solo triste. Un evento doloroso fa male ma la soluzione non può essere chimica”. La psicanalista si sofferma sulla “brutalità della vacuità della frase omicida finale”: un “banale take care al posto di un addio. Come dire abbi cura di te stessa perché non sarò io a farlo”. L’avvocato suggerisce due anni di carcere e trentasettemila euro di ammenda per il soggetto, colpevole di truffa e contraffazione. Florence Aubenas (giornalista lungamente sequestrata in Iraq) le scrive che la sua lettera non sarà pubblicata: troppo personale. La criminologa analizza il soggetto mittente: “Un uomo intelligente, colto, di buon livello socioculturale, elegante, seducente, orgoglioso narcisista ed egoista”. “Psicologicamente pericoloso o/e grande scrittore”. L’esegeta di talmud affronta sul testo una disputa rabbinica. Ne ragionano una filosofa, un’antropologa, un’esperta di diritti delle donne all’Onu, una docente di fisica. Marie Dasplechine, scrittrice, ne fa una novella per bambini. La maestra elementare in bella calligrafia la propone come compito agli alunni con cinque consegne: “Dai un titolo a questo racconto, chi è il protagonista? qual è il problema? In che modo il protagonista lo risolve? Trova un altro finale alla storia”. Ambra, nove anni e mezzo, lo svolge: “Sembra che lui l’ami. Se l’ama non capisco perché la lascia. È una storia triste”. La paroliera la trasforma nel testo di una canzone, la compositrice classica in un brano per pianoforte. L’esperta di bon ton la boccia categoricamente e propone un nuovo testo: sette righe scritte con penna stilografica su carta velina, impeccabili per assenza di vanità. La cartomante fa i tarocchi: l’eremita, il matto, l’imperatrice, la luna, l’impiccato. Un’agente dei servizi segreti la critta usando la parola chiave “rottura”.
La redattrice di parole crociate ne fa un fenomenale cruciverba: memorabili le definizioni di “benefico”, “irrimediabile”, “amante”. Per centinaia di pagine si avvicendano l’esperta di letteratura comparata e la sociologa (ne fa un saggio: “L’esacerbarsi dell’amore eterosessuale in Occidente”), la storica e la giocatrice di scacchi (“Il re nero perde: analisi della partita”). La latinista traduce: “Ego quidem voluissem res alio vertere. Cura ut valeas”. Dunque in latino la frase omicida si dice così: cura ut valeas. L’architetto di interni ne fa mille copie da distribuire agli ospiti in visita, le impila in un contenitore, la contabile la trasforma in un bilancio economico del dare e dell’avere in amore. La maestra di ikebana due composizioni floreali, la madre una lettera alla figlia: “Amore mio, si lascia e si è lasciati, è questo il nome del gioco. Sono sicura che anche questo sarà per te fonte d’ispirazione artistica. Mi sbaglio?”.
Già arrivati fin qui, a due terzi del libro, va meglio. Si è molto riso, si è molto ascoltato il rumore del mondo. Ecco dunque il momento di sedersi a godere lo spettacolo. Dei quattro cd rom allegati (la seduta dal consulente familiare, la conversazione con la speaker della radio, il film realizzato dalla regista Letitia Masson) l’ultimo contiene le immagini di chi ha risposto con la voce e coi gesti. Una clown. Una stella della danza all’Opera di Parigi. Jeanne Moreau che legge nella penombra di una stanza, commenta con voce roca, si ferma, riprende, si emoziona. La tiratrice di carabina che del foglio con la mail fa un bersaglio, prende la mira e spara. Luciana Littizzetto che la legge nella cucina di casa sua, a Torino, mentre affetta una cipolla: sarcasmo e lacrime. Victoria Abril ancora nel letto di “Legami” che dalle lenzuola sfatte rimprovera Sophie: “Gli hai dato troppe condizioni, gli hai detto che dopo la fine dell’amore non avresti voluto vederlo più, gli hai chiesto di non essere l’altra, la quarta delle sue donne. Ma, Sophie, in amore non si dettano regole. Hai sbagliato”. Un’attrice giapponese con la maschera di gesso, una ballerina indiana che danza, una cantante di tango. Un pupo di cartapesta (femmina), una rapper. Un’interprete di fado portoghese, una soprano lirica, una cantautrice berlinese. Alla fine resta Brenda, maestoso pappagallo bianco con cresta dorata (femmina): col becco fa a pezzi la lettera, la assaggia, ne mangia un po’, non gli piace, la butta. Chiude l’autrice: una frase in caratteri minuscoli, ultima pagina. “Questo è tutto riguardo alla lettera. Non riguardo all’uomo che l’ha scritta…”. Il libro, naturalmente, è dedicato a lui. ( 11 novembre 2007 )
di CONCITA DE GREGORIO ( fonte http://www.repubblica.it)

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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DONNE BELLE CERCANO UOMO PERFETTO, STUDIO USA

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Milano, 21 mar. (Adnkronos Salute) – Fin da bambine sanno di piacere e di suscitare ammirazione. E così, nella scelta del partner per la vita, lo vogliono perfetto: bello, sano, ricco, padre ideale, di buona famiglia, leale e devoto. Le donne belle non si accontentano, mentre gli uomini attraenti sono più propensi a ‘chiudere un occhio’ sulle caratteristiche della madre dei loro figli. A indagare sui desideri dei due sessi alle prese con Cupido è uno studio dell’università del Texas, coordinato dallo psicologo David Buss e pubblicato sulla rivista ‘Evolutionary Psychology’.

La teoria del team americano è semplice, ma rivoluzionaria rispetto alle ricerche precedenti: quando si tratta di cercare un compagno, il criterio utilizzato dalle donne non dipende soltanto dal tipo di relazione che cercano – passeggera o duratura – ma viene condizionato anche dal proprio aspetto fisico. Le belle, quelle che ‘non devono chiedere mai’, pretendono di più. In passato, ricordano gli autori, era emerso in genere che quando una donna ‘punta’ a un rapporto solido si indirizza verso uomini in grado di garantire un futuro stabile a sé e ai propri figli, mentre a un partner ‘di transizione’ chiede virilità ed aspetto impeccabile. Ma ora Buss e Todd Shackelford, docente di Psicologia alla Florida Atlantic University, fanno un passo in più: “Nella scelta di un uomo – assicurano – le donne calibrano i propri standard anche in base a quanto si sentono desiderabili. E le donne ritenute fisicamente attraenti mantengono standard alti”. Al contrario le altre, ma anche gli uomini belli o bruttini, dopo i primi insuccessi sono più disposte a ‘trattare’ e abbassano il tiro.
fonte www.yahoo.it

 

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L’AMORE RENDE MONOGAMI, IL SESSO TRADITORI

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L’amore è cieco e rende ciechi. Solo l’amore, e non il semplice desiderio, permette ad una persona di prendere un impegno esclusivo con un’altra. Amare una persona, infatti, assorbe talmente tante energie emotive da rendere ciechi agli stimoli esterni e alle tentazioni. L’amore, come la vendetta, rientra in questi sentimenti definiti dagli psicologi “commitment device”: sono degli stratagemmi che la mente usa per impegnarsi nel perseguire un obiettivo e non farsi distrarre da altro.

Lo ha dimostrato una ricerca condotta da un gruppo di psicologi della University of California di Los Angeles; il lavoro è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista Evolution and Human Behavior. L’attrazione fisica e il sesso, secondo quanto sostenuto dallo studio, non sono uno stimolo sufficiente a fare nascere un patto di esclusività tra due persone. Ma come fa l’amore a sedare l’istinto di guardarsi intorno o di essere promiscui? Semplice: quando si è innamorati c’è una prima fase in cui si è completamente presi dall’altra persona per cui cervello ed emotività sono completamente assorbiti (o annebbiati dipende dai punti di vista) dal pensiero dell’altro. In questa fase si costruisce con la persona che si ama una vita fatta di abitudini, di cose condivise, di tempo passato insieme. Questa costruzione richiede tempo ed energie, richiede anche di focalizzarsi sul raggiungimento dell’obiettivo: la vita insieme. È in questa fase che bisogna concludere! È questo il momento cruciale in cui una persona è in grado di assumersi la responsabilità di una scelta monogama, né prima né dopo. La tempistica è fondamentale. Fonte: Gonzaga G et al. Love, desire, and the suppression of thoughts of romantic alternatives. Ev Hum Beh 2008;29:119-26.
emanuela grasso
www.yahoo.it

 

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