Ciò che rende un amore felice è diverso da coppia in coppia, eppure, nonostante tutte le differenziazioni, ci sono due modi per salvaguardare il legame. Due chiavi. Robert Epstein della University of the South Pacific Fiji ha condotto uno studio per scoprirle.
Secondo un suo precedente studio del 2013 ci sono in realtà sette competenze necessarie per creare un rapporto forte e felice. Si tratta di comunicazione, abilità di vita, autogestione, conoscenza del partner, sesso, gestione dello stress e risoluzione dei conflitti. Ma, dopo i recenti risultati, il cerchio si è stretto. Sino a scoprire che due contano in più degli altri. E li ingloba.
Il segreto per un amore felice consiste nel padroneggiare la comunicazione e nell’aumentare la conoscenza del vostro partner
Ed è vero, potrebbe sembrare una cosa banale, ma forse non lo è. Dopo aver interrogato più di 2.000 adulti, la ricerca ha rivelato che chi ha indicato queste due abilità hanno il più alto livello di soddisfazione. Inoltre la giusta osservazione di questi migliora, di conseguenza, gli altri aspetti.
Cosa bisogna quindi fare? Innanzitutto evitare frasi come “è sempre” o “non si può mai”, particolarmente dolorose e fastidiose. Meglio usare espressioni meno offensive ma più personali, come “sento che mi manchi di rispetto quando”.
E per quanto riguarda la conoscenza dell’altro, tranquilli, non servono grandi sforzi mnemonici. Come ricordare il film preferito o la canzone dell’infanzia. Ma occorre sempre tenere in mente ciò che piace e che non piace. Cosa li fa sentire amati e cosa infastidisce. E’ questa la chiave della memoria affettiva: ricordare cosa fa innamorare l’altro. Per confermare il rapporto ogni giorno.
http://www.psicologiadellamore.it/wp-content/uploads/2016/10/1456129672820.jpg-passare_il_tempo_insieme_sul_divano__anche_mentre_la_propria_compagna_e_intenta_nella_lettura__basta_essere_insieme_.jpg378615Dott. Roberto Cavalierehttp://www.psicologiadellamore.it/wp-content/uploads/2016/09/psicologiadellamore.jpgDott. Roberto Cavaliere2017-02-08 23:40:582017-02-09 00:01:37I DUE SEGRETI DI UNA COPPIA FELICE
– Ma tu mi ami? chiese Alice.
– No, non ti amo rispose il Bianconiglio.
– Alice corrugò la fronte ed iniziò a sfregarsi nervosamente le mani, come faceva sempre quando si sentiva ferita.
– Ecco, vedi? – disse Bianconiglio – Ora ti starai chiedendo quale sia la tua colpa, perché non riesca a volerti almeno un po’ di bene, cosa ti renda così imperfetta, frammentata. Proprio per questo non posso amarti. Perché ci saranno giorni nei quali sarò stanco, adirato, con la testa tra le nuvole e ti ferirò. Ogni giorno accade di calpestare i sentimenti per noia, sbadataggine, incomprensione. Ma se non ti ami almeno un po’, se non crei una corazza di pura gioia intorno al tuo cuore, i miei deboli dardi si faranno letali e ti distruggeranno. La prima volta che ti ho incontrata ho fatto un patto con me stesso: mi sarei impedito di amarti fino a che non avessi imparato tu per prima a sentirti preziosa per te stessa. Perciò Alice no, non ti amo. Non posso farlo”
Tratto da “Alice nel Paese delle meraviglie”
In questo significativo brano (tratto dal libro “Alice nel Paese delle meraviglie”) viene esplicitato perfettamente cosa significa e perché è importante amarsi per poter riuscire ad essere amati dall’altro.
Se si fa dipendere la propria autostima, il proprio valore, il meritare amore, dal partner, inevitabilmente ci si espone alle ferite che l’altro, consapevolmente o inconsapevolmente può infliggere.
Se, invece, ci si stima, ci si ama a prescindere dal partner, quest’ultimo può aggiungere valore ed amore, ma non può sottrarli, non può indebolirli.
Paradossalmente, possiamo aspettarci amore autentico dall’altro solo se l’altro percepisce che noi ci amiamo per prima.
Ed in maniera speculare, si è capaci di amore per l’altro solo se noi ci amiamo per prima. In questo caso “Se non mi amo, non ti amo”
http://www.psicologiadellamore.it/wp-content/uploads/2017/02/maxresdefault.jpg7201280Dott. Roberto Cavalierehttp://www.psicologiadellamore.it/wp-content/uploads/2016/09/psicologiadellamore.jpgDott. Roberto Cavaliere2017-02-05 17:46:262019-09-22 17:01:39NON PUOI ESSERE AMATA SE NON TI AMI TU PER PRIMA
Quando si ha la sensazione di aver ‘perso tempo’ in una relazione il modo migliore per recuperarlo è separarsi.
Con la separazione quel tempo viene recuperato come tempo speso per un’esperienza relazionale e/o sentimentale che si cercherà di non ripetere più.
Se si riesce ad attuare ciò, il ‘tempo perso’ diventa ‘tempo speso’ per la propria crescita affettiva e relazionale.
Inoltre in questo passaggio da “tempo perso” a “tempo speso” si ha quel passaggio dai due diversi tipi di tempo secondo i greci: si passa dal “KRONOS” al “KAIROS” vale a dire da un tempo cronologico inteso come semplice scorrere ad un tempo individuale foriero di riflessioni ed eventuali cambiamenti.
Un anno prima della sua morte, lo scrittore F. Kafka visse un’esperienza insolita. Passeggiando per il parco Steglitz a Berlino incontrò una bambina, che piangeva sconsolata: aveva perduto la sua bambola. Kafka si offrì di aiutarla a cercarla e le diede appuntamento per il giorno seguente nello stesso posto.
Incapace di trovare la bambola, scrisse una lettera – da parte della bambola – e la portò con sé quando si rincontrarono. “Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure…”, così cominciava la lettera.
Quando lui e la bambina s’incontrarono egli le lesse questa lettera attentamente descrittiva di avventure immaginarie della bambola amata. La bimba ne fu consolata e quando i loro incontri arrivarono alla fine, Kafka le regalò una bambola. Ella ovviamente era diversa dalla bambola originale, in un biglietto accluso spiegò… “i miei viaggi mi hanno cambiata”.
Molti anni più avanti la ragazza cresciuta, trovò un biglietto nascosto dentro la sua bambola ricevuta in dono. Riassumendolo diceva: ogni cosa che tu ami è molto probabile che tu la perderai, però alla fine l’amore muterà in una forma diversa.
Da “Kafka e la bambola viaggiatrice”, di Jordi Sierra i Fabra.
http://www.psicologiadellamore.it/wp-content/uploads/2016/11/bambina.jpg749500Dott. Roberto Cavalierehttp://www.psicologiadellamore.it/wp-content/uploads/2016/09/psicologiadellamore.jpgDott. Roberto Cavaliere2016-11-30 21:56:182016-11-30 21:56:18ALLA FINE L'AMORE MUTERA' IN UNA FORMA DIVERSA
Inferno
Non sono stato amato e quindi non mi amo.
Ho bisogno d’amore ma ho paura d’amore. Vorrei essere amato ma ho paura di essere rifiutato un’altra volta. Non mi apro.
Non mi amo e quindi non riesco ad amare.
Vorrei amare, vorrei aprirmi ma ho paura di farlo, non sono capace di farlo, credo di non esserne in grado e allontano chi prova ad amarmi.
Non riesco ad amare e quindi non mi amano.
Non mi amano e quindi non mi amo… e il circolo continua.
Purgatorio
Non sono stato amato ma provo ad amarmi.
Provo ad amarmi e provo ad aprirmi.
Mi apro e vinco la paura del rifiuto.
Prendo fiducia in me e mi apro un altro po’.
Mi apro e vedo che non è così terrorizzante, che si può fare.
E anche se non sono stato amato provo ad amarmi…
e il circolo progredisce.
Paradiso
Mi amo perché sono stato amato.
Mi hanno fatto sentire importante e adesso lo sento anch’io.
Mi amo e sono amato.
Gli altri sentono la mia positività e il mio valore che anch’io sento. Così è facile per loro amarmi e aprirsi.
E anche per me è facile aprirmi e farmi amare.
Sono amato e mi amo.
E più intesso relazioni d’amore e più sento che sono capace d’amare, che sono una persona preziosa e importante…
e il circolo continua.»
(dal web)
http://www.psicologiadellamore.it/wp-content/uploads/2016/10/1456129997553.jpg-_dormire_abbracciati_.jpg351615Dott. Roberto Cavalierehttp://www.psicologiadellamore.it/wp-content/uploads/2016/09/psicologiadellamore.jpgDott. Roberto Cavaliere2016-10-25 00:28:392016-10-25 00:28:39LA SERENITA' DELLA VITA DI COPPIA
Per Schopenhauer l’amore è legato alla sessualità, la quale a sua volta esprime la volontà della specie di proseguire la sua esistenza.
“Ogni innamoramento, infatti, per quanto voglia mostrarsi etereo, ha la sua radice solo nell’istinto sessuale, anzi è in tutto e per tutto soltanto un impulso sessuale determinato, specializzato in modo prossimo e rigorosamente individualizzato.
[…] L’estasi incantevole, che coglie l’uomo alla vista di una donna di bellezza a lui conveniente e che gli fa immaginare l’unione con lei come il sommo bene, è proprio il senso della specie, che, riconoscendo chiaramente impresso in essa il suo stampo, vorrebbe con essa perpetuarlo. Da questa decisa inclinazione verso la bellezza dipende la conservazione del tipo della specie: perciò esso agisce con cosí gran forza. Noi considereremo piú oltre singolarmente gli accorgimenti, che esso adopera. L’uomo è dunque in ciò guidato realmente da un istinto, che tende al miglioramento della specie anche se si illude di cercare soltanto un accrescimento del proprio godimento. In effetti noi abbiamo qui un istruttivo chiarimento sull’intima essenza di ogni istinto, il quale quasi sempre, come qui, mette in moto l’individuo per il bene della specie.
[…] Conformemente all’esposto carattere della cosa, ogni innamorato, dopo il godimento finalmente raggiunto, prova una strana delusione e si meraviglia, che ciò che ha cosí ardentemente desiderato non dia nulla di piú di ogni altro appagamento sessuale; tanto che egli ormai non si vede piú spinto verso di esso. Quel desiderio dunque stava a tutti i rimanenti suoi desideri nello stesso rapporto con cui la specie sta all’individuo, ossia come una cosa infinita e una finita. L’appagamento al contrario avviene propriamente solo per il bene della specie e non cade perciò nella coscienza dell’individuo, il quale qui, animato dalla volontà della specie, serviva con ogni sacrificio ad un fine, che non era il suo proprio. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, II, 44 Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 653-656
“Si tratta di una passione tirannica e demoniaca, anzi metafisica, che nei gradi più alti della sua intensità è capace di travolgere tutto, anche la vita stessa di chi vi è irretito. E se ne capisce il perché, dice il filosofo, se si pensa che dall’amore dipende la perpetuazione della specie.Ma una cosa di tanta importanza non poteva essere lasciata all’arbitrio degli individui e così la natura ci ha dato l’istinto sessuale, la cui forza e infallibilità ci inducono a fare quello che non faremmo mai con la mera riflessione razionale. Tale istinto crea delle illusioni, facendoci credere che l’amplesso con una determinata persona ci procurerà una gioia infinita; ma poi, post rem, scopriamo con stupore che così non è. Intanto la natura ha ottenuto il suo scopo, quello appunto della riproduzione. Ciò che le sta a cuore, infatti, è la vita della specie e non quella degli individui, che essa considera semplici strumenti o zimbelli. Ogni amore, per quanto etereo possa apparire, è radicato nell’istinto sessuale; e non c’è alcuna differenza essenziale tra il cervo in fregola che bramisce e il poeta innamorato che scioglie inni alla sua bella. Lo scopo è sempre lo stesso, comunque lo si persegua: perpetuare la specie. L’istinto sessuale, di cui la natura si serve per i suoi fini, ci guida come un fuoco fatuo e poi ci lascia negli stagni.”
Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona.
(C.G. Jung)
“…ma la cura in termini di guarigione la si ottiene solo con la follia dell’amore.” (C.G.Jung)
“Se vai dal pensiero, porta il cuore con te. Se vai dall’amore, porta la testa con te. Vuoto è l’amore senza il pensiero, vuoto il pensiero senza l’amore.”
(C. G. Jung, Libro rosso. Liber novus,p. 276)
«L’amore è un concetto estensibile che va dal cielo all’inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l’infinito.» (Jung)
“Io cerco la persona che sia capace di amare l’altro senza per questo punirlo, senza renderlo prigioniero o dissuaderlo; cerco questa persona DEL FUTURO che sappia realizzare un amore indipendente dai vantaggi o svantaggi sociali, affinché l’amore sia sempre fine a se stesso e non solo il mezzo in vista di uno scopo.”
(Carl Gustav Jung a Sabina Spielrein)
«L’amore di Sabina per Jung in ultimo ha reso conscio qualcosa che prima egli presentiva solo in modo confuso, cioè una potenza che determina il destino dall’inconscio; questo più tardi lo condusse a delle cose importantissime. Il rapporto doveva essere ‘sublimato’ perché altrimenti lo avrebbe indotto all’accecamento e alla pazzia (concretizzazione dell’inconscio). Talvolta si deve essere indegni, per riuscire a vivere pienamente.»
(Lettera di JUNG a SABINA SPIELREIN, del 1 Settembre 1919)
“Il nostro amore e’ nato sulla base della reciproca comprensione delle nostre anime e di comuni interessi spirituali”.
(dal Diario di Sabina Spielrein,11-XI,1910)
« […] E’ piuttosto l’incapacità di amare che priva l’uomo delle sue possibilità. Questo mondo è vuoto solo per colui che non sa dirigere la sua libido sulle cose e sugli uomini, e conferir loro a suo talento vita e bellezza. Ciò che dunque ci costringe a creare, traendolo da noi stessi, un surrogato, non è una carenza esterna di oggetti, ma la nostra incapacità di abbracciare con amore una cosa che stia al di fuori di noi. […] Mai difficoltà concrete potranno costringere la libido a regredire durevolmente a un punto tale da provocare l’insorgere di una nevrosi. Manca qui il conflitto che è il presupposto di ogni nevrosi. Solo una resistenza, che contrapponga il suo non volere al volere, è in grado di produrre quella regressione che può essere il punto di partenza di un disturbo psicogeno. La resistenza contro l’amore genera l’incapacità all’amore, oppure tal incapacità può operare come resistenza.»
(C.G.Jung – Simboli della Trasformazione, Ed.Bollati Boringhieri, p.175)
“Sia nella mia esperienza di medico che nella mia vita, mi sono trovato difronte al mistero dell’amore. E non sono mai stato capace di spiegare cosa esso sia. Qui si trovano il massimo e il minimo. Il più remoto e il più vicino. Il più alto e il più basso. E non si può mai parlare di uno senza mai considerare anche l’altro. L’amore soffre ogni cosa e sopporta ogni cosa, queste parole dicono tutto ciò che c’è da dire. Non c’è nulla da aggiungere. Perché noi siamo nel senso più profondo le vittime o i mezzi e gli strumenti dell’amore cosmico. Essendo una parte l’uomo non può intendere il tutto, è alla sua merce. L’amore non viene mai meno, sia che parli con la lingua degli angeli sia che tracci la vita della cellula con esattezza scientifica risalendo fino al suo ultimo fondamento. Se possiede un granello di saggezza l’uomo deporrà le armi e chiamerà l’ignoto con il più ignoto.Cioè con il nome di Dio. Sarà una confessione di imperfezione, di dipendenza, di sottomissione ma al tempo stesso una sua testimonianza della sua libertà di scelta tra la Verità e l’errore.”
(C.G.Jung – Ricordi Sogni Riflessioni)
«San Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi ci dice che …
“…Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sarei nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato,
ma non avessi l’amore, niente mi gioverebbe.
L’amore è paziente, è benigno l’amore; non è invidioso l’amore, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia,ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta..”
Queste parole dicono tutto ciò che c’è da dire; non c’è nulla da aggiungere. Perché noi siamo, nel senso più profondo, le vittime o i mezzi e gli strumenti dell’”amore” cosmogonico. Pongo la parola tra virgolette per indicare che non la uso nei suoi significati di brama, preferenza, favore, desiderio, e simili, ma come un tutto superiore a una singola cosa, unico e indivisibile. Essendo una parte, l’uomo non può intendere il tutto. È alla sua mercé. Può consentire con esso, o ribellarsi; ma sempre ne è preda e prigioniero. Ne dipende e ne è sostenuto. L’amore è la sua luce e le sue tenebre, la cui fine non può riuscire a vedere. “L’amore non vien mai meno”, sia che parli con la “lingua degli angeli”, o che, con esattezza scientifica, tracci la vita della cellula risalendo fino al suo ultimo fondamento. L’uomo può cercare di dare un nome all’amore, attribuendogli tutti quelli che ha a disposizione, ma sarà sempre vittima di infinite illusioni. Se possiede un granello di saggezza, deporrà le armi e chiamerà l’ignoto con il più ignoto, ignotum per ignotius, cioè con il nome di Dio. Sarà una confessione di imperfezione, di dipendenza, di sottomissione, ma al tempo stesso una testimonianza della sua libertà di scelta tra la verità e l’errore.”»
(C.G.Jung – Ricordi, Sogni, Riflessioni)
http://www.psicologiadellamore.it/wp-content/uploads/2016/09/00003-1.jpg302500Dott. Roberto Cavalierehttp://www.psicologiadellamore.it/wp-content/uploads/2016/09/psicologiadellamore.jpgDott. Roberto Cavaliere2016-10-06 23:46:082016-10-06 23:46:08JUNG E L'AMORE
“Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.”
A. Schopenhauer
Prendendo in prestito la metafora dei Porcospini del filosofo possiamo delineare la giusta distanza nelle relazioni
Giusta distanza che non deve trovare il punto di equilibrio tra distanza e vicinanza.
Giusta distanza che deve tenere conto sia delle caratteristiche individuali dei singoli membri della coppia che delle caratteristiche della relazione stessa.
Giusta distanza che può cambiare nel tempo e nello spazio e che segue il ciclo di vita della coppia e dei singoli.
Giusta distanza, quindi, che è variabile e da trovare in continuazione.