‘Riflessioni’ tratte da “L’arte di Amare” di Erich Fromm edito da Mondadori
Il bisogno di amare è il bisogno fondamentale dell’uomo, superiore per urgenza a quello della fame, della sete o dello stesso “sesso”, in quanto per soddisfarlo questi ultimi possono anche essere messi a tacere. Da dove nasce questo bisogno?
L’uomo è cosciente di sé stesso come realtà unica e irripetibile, della propria individualità. Questa coscienza di sé stesso come realtà separata, la consapevolezza della propria breve vita, del fatto che è nato senza volerlo e che contro la propria volontà morirà; che morirà prima di quelli che ama, o che essi moriranno prima di lui, il senso di solitudine, d’impotenza di fronte alle forze della natura e della società, possono rendergli insopportabile l’esistenza. Diventerebbe pazzo, se non riuscisse a rompere l’isolamento, a unirsi agli altri uomini, al mondo esterno.
Il senso di solitudine provoca l’ansia; anzi, è l’origine di ogni ansia. Essere soli significa essere indifesi, incapaci penetrare attivamente nel mondo che circonda.
Questo profondo bisogno dell’uomo, dunque, è il bisogno di superare l’isolamento, di evadere dalla prigione della propria solitudine. L’impossibilità di raggiungere questo scopo porta alla pazzia, poiché il panico della completa separazione può essere vinto solo da un isolamento dal mondo esterno così totale, da cancellare il mondo esterno, dal quale si è separati, e così scompare il senso di separazione.
L’uomo – di qualsiasi età e civiltà – è messo di fronte alla soluzione di un eterno problema: il problema di come superare la solitudine e raggiungere l’unione.
Tentativi di superare la separazione
Esistono diversi tentativi con cui l’uomo tenta di superare questo senso di separazione e di solitudine. Oltre l’esercizio maturo dell’amore si possono sintetizzare tre modi: l’esercizio della sessualità, il conformismo e l’attività creativa:
La soluzione sessuale, entro certi limiti, è un modo naturale e normale di superare la separazione, ed è una soluzione parziale al problema dell’isolamento. Ma in molti individui per i quali la solitudine non può essere superata in nessun modo, l’esercizio dell’attività sessuale assume una funzione che li rende non molto diversi dagli alcoolizzati e dai tossicomani. Diventa un tentativo disperato di sfuggire all’ansia suscitata dalla separazione e il suo risultato è un sempre crescente senso d’isolamento, poiché l’atto sessuale, senza amore, non riempie mai il baratro che divide due creature umane, se non in modo assolutamente momentaneo.
La soluzione più frequente scelta dall’uomo nel passato e nel presente è l’unione col gruppo, il condividerne costumi, usi, pratiche e credenze.
Anche nella civiltà occidentale contemporanea, l’unione col gruppo è la maniera più frequente per superare l’isolamento. È un’unione in cui l’individuo si annulla in una vasta comunità, e il suo scopo è quello di far parte del gregge. Se io sono uguale agli altri, sia nelle idee che nei costumi, non posso avere la sensazione di essere diverso. Sono salvo: salvo dal terrore della solitudine.
La maggior parte della gente non si rende nemmeno conto del proprio bisogno di conformismo. Vive nell’illusione di seguire le proprie idee ed inclinazioni, di essere individualista, di aver raggiunto da sé le proprie convinzioni; e si dà il fatto che le sue idee siano le stesse della maggioranza.
L’unione ottenuta mediante il conformismo, non è intensa né profonda; è superficiale e, poiché è il risultato della routine, è insufficiente a placare l’ansia della solitudine. I casi di alcoolismo, di tossicomania, di manie sessuali e di suicidio, sono sintomi del fallimento di tale unione.
Un terzo modo per raggiungere l’unione è l’attività creativa, sia quella dell’artista che dell’artigiano. In ogni attività creativa, colui che crea si fonde con la propria materia, che rappresenta il mondo che lo circonda. Sia che il contadino coltivi il grano o il pittore dipinga un quadro, in ogni tipo di lavoro creativo, l’artefice e il suo oggetto diventano un’unica cosa: l’uomo si unisce col mondo nel processo di creazione. Questo, tuttavia, vale solo per il lavoro produttivo, per il lavoro nel quale io progetto, produco, vedo il risultato della mia fatica. Ma nel moderno processo di lavoro, al dipendente, anello di una catena senza fine, poco è lasciato di quel genere di lavoro che crea l’unione tra lui e il mondo. Il lavoratore diventa un’appendice della macchina o dell’organizzazione burocratica. Ha cessato di essere “lui”, e di conseguenza non può verificarsi nessuna unione se non quella del conformismo.
Rapporti che non significano ancora “amore”.
L’unità conquistata col lavoro produttivo non è interpersonale; l’unità raggiunta con la fusione orgiastica (sessuale) è fittizia; l’unità ottenuta col conformismo è solo una parvenza di unità. Non sono che soluzioni parziali al problema dell’esistenza. La soluzione completa sta nella conquista dell’unione interpersonale, nella fusione con un’altra persona, nell’amore.
Il desiderio di fusione interpersonale è il più potente. È la passione più antica, è la forza che tiene unita la razza umana, la tribù, la famiglia, la società. Il non riuscire e raggiungere questa unione significa follia e distruzione. Senza amore, l’umanità non sopravviverebbe un solo giorno. Eppure, se chiamiamo “amore” la conquista dell’unione interpersonale, ci troviamo in serie difficoltà. La fusione tra persone può essere raggiunta in diversi modi. Ma sono poi tutte forme d’amore? Oppure dobbiamo riservare la parola “amore” a una particolare tipo di unione, che è stata la virtù ideale di tutte le grandi religioni e dei sistemi filosofici di quattromila anni di civiltà orientale e occidentale?
Come sempre nelle difficoltà attorno al contenuto delle parole, la risposta può essere solo arbitraria. Ciò che conta è sapere di quale tipo di unione parliamo, parlando d’amore. Ci riferiamo all’amore come alla matura soluzione del problema esistenza, oppure alludiamo a quelle incomplete forme di amore che possono chiamarsi unioni simbiotiche? Nelle seguenti pagine chiamerò amore solo la prima. Inizierò la discussione sull’amore con le ultime.
Le unioni simbiotiche
L’unione simbiotica ha il suo modello biologico nella relazione tra la madre e il feto Sono due, eppure uno. Vivono insieme (simbiosi), hanno bisogno l’uno dell’altro. Il feto è parte della madre, riceve tutto ciò di cui ha bisogno da lei; la madre è il suo mondo; lei lo nutre, lo protegge, ma anche la sua vita è intensificata da esso. Nell’unione simbiotica fisica, i corpi sono indipendenti, ma lo stesso genere d’unione esiste psicologicamente.
La forma passiva dell’unione simbiotica è quella della sottomissione, o, per usare un termine clinico, dei masochismo. Il masochista sfugge all’insopportabile senso di separazione e solitudine rendendosi parte di un’altra persona che lo domina, lo guida, lo protegge; che è la sua vita e il suo ossigeno, per così dire. Il masochista ha la percezione di essere nulla, a meno che non diventi parte di uno che ritiene potente: parte di grandezza, di potere, di sicurezza. Il masochista non ha da prendere decisioni, non ha da correre rischi; non è mai solo, non è indipendente; non ha autonomia; non è ancora pienamente nato. Può esserci la sottomissione masochistica al destino, alla malattia, alla musica ritmica, allo stato orgiastico provocato dalle droghe, o sotto influsso ipnotico: in tutti questi casi la persona rinuncia alla propria integrità, fa di sé stessa lo strumento di qualche cosa o di qualcuno al di fuori di sé stessa.
La forma attiva di fusione simbiotica è il dominio o, per usare il termine psicologico corrispondente al masochismo, il sadismo. Il sadico vuole sfuggire alla propria solitudine, al proprio senso d’isolamento, impossessandosi un’altra persona. Sublima se stesso incorporando un altro essere, che lo idolatra.
Il sadico è legato a chi gli è succube così come quest’ultimo è subordinato al primo; non può nemmeno vivere, senza l’altro. La differenza sta solo nel fatto che il sadico domina, intraprende, offende, umilia, e il masochista è comandato, offeso, umiliato. Questa è una differenza considerevole, in senso realistico; ma in un senso più profondo ed emozionale, la differenza è minima, rispetto a ciò che ambedue hanno in comune; fusione senza integrità. Se si capisce questo, non ci si meraviglierà di scoprire che una persona reagisce sia nel modo sadico che masochistico, verso oggetti diversi. Hitler agì in un primo tempo in modo sadico, verso il popolo; ma in modo masochistico verso il destino, la storia, l'”alto potere” della natura. Il suo suicidio tra la distruzione generale è altrettanto caratteristico quanto il suo sogno di successo, di dominio totale.
L’unione fondata sull’amore
In contrasto con l’unione simbiotica, l’amore maturo è unione a condizione di mantenere la propria integrità, la propria individualità. L’amore è un potere attivo dell’uomo; un potere che annulla le pareti che lo separano dai suoi simili, che gli fa superare il senso d’isolamento e di separazione, e tuttavia gli permette di essere sé stesso e di conservare la propria integrità. Sembra un paradosso, ma nell’amore due esseri diventano uno, e tuttavia restano due.
L’amore come “attività”
Se diciamo che l’amore è un’attività, dobbiamo chiarire il significato della parola “attività”. Per “attività”, nell’uso moderno della parola, di solito s’intende un’azione che opera un cambiamento in una situazione esistente, attraverso un dispendio di energia. Un uomo è considerato attivo se fa affari, studia medicina, lavora, costruisce o pratica uno sport. Comune a tutte queste attività è il fatto che sono volte a conquistare una meta. Ciò di cui non si tiene conto, è la causa di ogni attività. Prendete per esempio un uomo spinto verso il lavoro incessante da un senso di profonda insicurezza e solitudine; o un altro guidato dall’ambizione o dalla brama di ricchezza. In tutti questi casi la persona è schiava di una passione, e la sua attività in realtà è una “passività”, poiché è guidata: è la “vittima”, e non è l’”attore”. D’altro canto, un uomo che se ne sta inerte a contemplare, senza scopo né fine tranne quello di arricchire la propria esperienza e la propria unità col mondo, è considerato “passivo”, perché non fa niente. In realtà, questo atteggiamento di meditazione è la più alta attività che esista, un’attività dell’anima, che è possibile solo in una condizione di intima libertà e indipendenza. Un concetto moderno di attività si riferisce all’uso dell’energia per raggiungere scopi esterni; l’altro concetto di attività si riferisce all’uso dei poteri inerenti all’uomo, senza tener conto di qualsiasi cambiamento esterno. Questa seconda teoria è stata espressa nel modo più chiaro da Spinoza. Egli distingue gli affetti in attivi e passivi, “azioni” e “passioni”. Nella funzione di un affetto attivo, l’uomo è libero, è padrone del suo affetto; nella funzione di un affetto passivo, l’uomo è oggetto di eventi di cui lui stesso non si rende conto. Invidia gelosia, ambizione, bramosia, sono passioni; l’amore è un’azione un potere umano che può essere praticato in libertà, e non è la conseguenza di una costrizione.
L’amore è un sentimento attivo, non passivo; è una conquista, non una resa. Il suo carattere attivo può essere sintetizzato nel concetto che amore è soprattutto “dare” e non ricevere
Cosa significa “dare”
Che cosa significa dare? La risposta sembra semplice, ma in realtà è piena di ambiguità e di complicazioni. Il malinteso più comune è che dare significhi “cedere” qualcosa, essere privati, sacrificare. La persona il cui carattere non si è sviluppato oltre la fase ricettiva ed esplorativa, sente l’atto di dare in questo modo. Il “tipo commerciale” è disposto a dare, ma solo in cambio di ciò che riceve; dare senza ricevere, per lui significa essere ingannato. La gente arida sente il dare come un impoverimento. La maggior parte degli individui di questo tipo, di solito si rifiuta di dare. Alcuni trasformano in sacrificio l’atto di dare. Sentono che solo per il fatto che è penoso dare, si dovrebbe dare; la virtù, per loro, sta nell’accettare il sacrificio. Per loro, la regola che è meglio dare anziché ricevere significa che è meglio soffrire la privazione piuttosto che provare la gioia.
Per la persona attiva, dare ha un senso completamente diverso. Dare è la più alta espressione di potenza. Nello stesso atto di dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante di vita e di felicità. Dare dà più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell’atto mi sento vivo.
Nella sfera delle cose materiali, dare significa essere ricchi. Non quello che ha molto è ricco, ma colui che dà molto. L’avaro che è terrorizzato all’idea di perdere qualche cosa è, psicologicamente parlando, un povero essere, per quanto ricco sia. Chiunque sia capace di dare se stesso è ricco. Solo chi avesse appena quanto basti a sopravvivere, sarebbe incapace di godere nell’atto di dare cose materiali. Ma è noto che i poveri sono più ansiosi di dare dei ricchi. Ciò nonostante, la povertà oltre un certo limite può rendere impossibile il dare, ed è assai doloroso, non solo per la sofferenza che provoca direttamente, ma perché toglie al povero la gioia di dare.
La sfera più importante del dare, tuttavia, non è quella delle cose materiali, ma sta nel regno umano. Che cosa dà una persona a un’altra? Dà se stessa, ciò che possiede di più prezioso, dà una parte della sua vita. Ciò non significa necessariamente che essa sacrifichi la sua vita per l’altra, ma che le dà ciò che di più vivo ha in sé; le dà la propria gioia, il proprio interesse, il proprio umorismo, la propria tristezza, tutte le espressioni e manifestazioni di ciò che ha di più vitale. In questo dono di se stessa, essa arricchisce l’altra persona, sublima il senso di vivere dell’altro sublimando il proprio. Non dà per ricevere; dare è in se stesso una gioia squisita. Ma nel dare non può evitare di portare qualche cosa alla vita dell’altra persona, e colui che riceve si riflette in essa; nel dare con generosità, non può evitare di ricevere ciò che le viene dato di ritorno. Dare significa fare anche dell’altra persona un essere che dà, ed entrambi dividono la gioia di sentirsi vivi. Nell’atto di dare qualcosa nasce, e un senso di mutua gratitudine per la vita che è nata in loro unisce entrambe. Ciò significa che l’amore è una forza che produce amore.
“Se amate senza suscitare amore, vale a dire, se il vostro amore non produce amore, se attraverso l’espressione di vita di persona amante voi non diventate una persona amata, allora il vostro amore è impotente, è sfortunato.”.
Amore espressione di maturità umana
È inutile sostenere che sentire l’amore come un atto di dare dipende dal carattere dell’individuo. Al contrario presuppone la conquista di un atteggiamento prevalentemente produttivo; in quest’orientamento l’individuo ha vinto l’indipendenza, l’onnipotenza narcisistica, il desiderio di sfruttare gli altri, e ha preso fiducia nelle proprie capacità umane. Nella misura in cui queste qualità mancano, egli ha paura di dare sé stesso, e quindi di amare.
Al di là dell’elemento del dare, il carattere attivo dell’amore diviene evidente nel fatto che si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte le forme d’amore. Questi sono: la premura (o cura), la responsabilità, il rispetto e la conoscenza.
La premura
L’amore è premura soprattutto nell’amore della madre per il bambino. Noi non avremmo nessuna prova di questo amore se la vedessimo trascurare il suo piccolo, se lei tralasciasse di nutrirlo, lavarlo, curarlo; e restiamo colpiti dal suo amore se la vediamo assistere il suo bambino. Non c’è differenza anche nell’amore per gli animali o per i fiori. Se una donna ci dicesse di amare i fiori e la vedessimo dimenticare di innaffiarli, non crederemmo nel suo “amore” per i fiori. “Amore è interesse attivo per la vita e la crescita di ciò che amiamo” Là dove manca questo interesse, non esiste amore.
La responsabilità
Cura e interesse implicano un altro aspetto dell’amore: quello della responsabilità. Oggi, per responsabilità spesso s’intende il dovere, qualche cosa che ci è imposto dal di fuori. Ma responsabilità, nel vero senso della parola, è un atto strettamente volontario; è la mia risposta al bisogno, espresso o inespresso, di un altro essere umano. Essere “responsabile” significa essere pronti e capaci di “rispondere”. La persona che ama risponde. La vita di suo fratello non è solo affare di suo fratello, ma suo. Si sente responsabile dei suoi simili, così come si sente responsabile di sé tesso. Questa responsabilità, nel caso della madre e del bambino, si riferisce soprattutto alle cure materiali; nell’amore tra adulti, si riferisce principalmente ai bisogni psichici dell’altra persona.
Il rispetto
La responsabilità potrebbe facilmente deteriorarsi nel dominio e nel senso di possesso, se non fosse per una terza componente dell’amore: il rispetto. Rispetto non è timore né terrore; esso denota, nel vero senso della parola (respicere = guardare), la capacità di vedere una persona com’è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l’altra persona cresca e si sviluppi per quello che è. Il rispetto, perciò, esclude lo sfruttamento; voglio che la persona amata cresca e si sviluppi secondo i suoi desideri, secondo i suoi mezzi, e non allo scopo di servirmi. Se io amo questa persona, mi sento uno con lei, ma con lei così com’è, e non come dovrebbe essere per adattarsi a me. È chiaro che il rispetto è possibile solo se ho raggiunto l’indipendenza; se posso stare in piedi o camminare senza bisogno di grucce, senza dover dominare o sfruttare nessuno. Il rispetto esiste solo sulle basi della libertà: l’amore è figlio della libertà, mai del dominio.
La conoscenza
Non è possibile rispettare una persona senza conoscerla: la cura e la responsabilità sarebbero cieche, se non fossero guidate dalla conoscenza. Conoscere sarebbe una parola vuota se non fosse animata dall’interesse. Ci sono molti gradi di conoscenza; il conoscere, in quanto aspetto dell’amore, non si ferma alla superficie, ma penetra nell’intimo. È possibile solo se riesco ad annullarmi a vedere l’altro quale veramente è. Posso capire, ad esempio, se una persona è adirata, anche se non lo dimostra apertamente, ma se la conosco a fondo, mi accorgo che è ansiosa e preoccupata, che si sente sola, che ha un senso di colpa. Allora mi rendo conto che la sua ira altro non è che la manifestazione di qualcosa di più profondo, e l’ansia. manifestazione di sofferenza, e non di collera.
Premura, responsabilità e comprensione sono strettamente legate fra loro. Sono un complesso di virtù che fanno parte della personalità matura, di una persona che sviluppa con profitto i suoi poteri, che sa quello che vuole, che ha abbandonato sogni narcisistici di onnipotenza e di onniscienza, che ha acquistato l’umiltà fondata sulla forza intima che solo l’attività produttiva può dare.
Gli oggetti d’amore
L’amore non è soltanto una relazione con una particolare persona: è un’attitudine, un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona coi mondo, non verso un “oggetto” d’amore. Se una persona ama solo un’altra persona e è indifferente nei confronti dei suoi simili, il suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico, o un egotismo portato all’eccesso. Eppure la maggior parte della gente crede che l’amore sia costituito dall’oggetto, non dalla facoltà d’amare. Infatti, essi credono perfino che sia prova della intensità del loro amore il fatto di non amare nessuno tranne la persona “amata”. Questo è lo stesso errore di cui abbiamo già parlato prima. Poiché non si vede che l’amore è un’attività, un potere dell’anima, si ritiene che basti trovare l’oggetto necessario e che, dopo ciò, tutto vada da sé. Questa teoria può -essere paragonata a quella dell’uomo che vuole dipingere ma che, anziché imparare l’arte, sostiene che deve solo aspettare l’oggetto adatto, e che dipingerà meravigliosamente non appena lo avrà trovato. Se io amassi veramente una persona, io amerei il mondo, amerei la vita. Se posso dire a un altro “ti amo”, devo essere in grado di dire “amo tutti in te, amo il mondo attraverso te, amo in te anche me stesso”.
Dicendo che l’amore è un orientamento che si riferisce a tutto e non a uno, non voglio dire che non ci siano differenze tra le varie forme d’amore, legate all’oggetto amato.
Amore fraterno. La forma più fondamentale d’amore, è l’amore fraterno. Con questo intendo senso di responsabilità, premure, rispetto, comprensione per il prossimo; esso è caratterizzato dall’assenza di esclusività. Se io ho sviluppato la capacità d’amare non posso fare a meno di voler bene ai miei fratelli. Nell’amore fraterno c’è il desiderio di fusione con tutti gli uomini, c’è il bisogno di solidarietà umana. L’amore fraterno si fonda sul principio dell’unione coi nostri simili. Le differenze di talento, d’intelligenza, di comprensione, sono trascurabili in confronto a quello che c’è in comune tra tutti gli uomini. Per sentire questa uguaglianza è necessario penetrare dalla superficie in profondità. Se io percepisco un altro essere solo in superficie, sento le differenze che ci separano. Se penetro in profondità, percepisco la nostra uguaglianza, ciò che ci fa fratelli. Questa è comunicazione profonda anziché superficiale. Come Simone Weil ha espresso così meravigliosamente: “Le stesse parole (ad esempio, un uomo dice alla moglie ” ti amo “) possono essere banali e straordinarie, secondo come sono dette. E il modo dipende dalla profondità di un essere umano, dalla quale scaturiscono senza che la volontà sia in grado di fare nulla. E con un accordo meraviglioso esse raggiungono in lui forma ed espressione. Così colui che sente può discernere, se ha potere di discernimento, ciò che é il valore del mondo.”
L’amore fraterno è amore tra esseri simili; ma, in realtà, anche tra simili che non sono sempre “simili”: infatti. poiché siamo esseri umani, siamo tutti bisognosi di aiuto. Oggi io, domani tu. Ma questo bisogno di aiuto non significa che uno è indifeso e l’altro potente. La debolezza è una condizione transitoria; la capacità di stare ritto e camminare coi propri piedi è lo stato normale e permanente.
Eppure, l’amore per l’essere indifeso, l’amore per il povero e per lo straniero, sono il principio dell’amore fraterno. Amare la propria carne e il proprio sangue non è una conquista. L’animale ama i suoi piccoli e li cura. Il debole ama il suo padrone poiché la sua vita dipende da lui; il bambino ama i suoi genitori poiché ha bisogno di loro. Solo l’amore disinteressato è un sentimento maturo, completo. È significativo, nel Vecchio Testamento, il fatto che l’oggetto d’amore dell’uomo sia il povero, lo straniero, la vedova e l’orfano, ed eventualmente, anche il nemico, l’egiziano e l’edomita. Con la compassione per il debole, l’uomo comincia a sviluppare l’amore per il fratello; e nel suo amore per se stesso, ama anche colui che ha bisogno di aiuto, l’essere umano fragile e insicuro. La compassione implica la comprensione e la fraternità. “Voi conoscete il cuore di uno straniero” dice il Vecchio Testamento “perché eravate stranieri nella terra d’Egitto… di conseguenza, amate gli stranieri.”
Amore materno.
Amore erotico. L’amore fraterno è tra simili; l’amore materno è amore per l’essere indifeso. Diverse come sono tra loro, queste forme d’amore sono, per la loro stessa natura, non limitate a una persona. Se io amo mio fratello, amo tutti i miei fratelli; se amo mio figlio, amo tutti i miei figli; e oltre a ciò, amo tutti i bambini che hanno bisogno del mio aiuto. In contrasto con ambedue queste forme, è l’amore erotico; questo è il desiderio della fusione completa, dell’unione con un’altra persona. È per la sua stessa natura esclusivo e non universale; è forse la più ingannevole forma d’amore che esista.
Prima di tutto, é spesso confuso con l’esperienza di “innamorarsi”, l’imprevista caduta delle barriere che esistevano fino a quel momento fra due estranei. Ma, come ho accennato prima, questa esperienza d’improvvisa intimità è per sua stessa natura di breve durata. Dopo che lo sconosciuto è diventato intimo, non ci sono più barriere da superare, né segreti da penetrare. La persona “amata” ci è nota come noi stessi. O, forse, farei meglio a dire altrettanto sconosciuta. Se si potessero sondare le profondità dell’altra persona, se si riuscisse a penetrare interamente la sua personalità, essa non diventerebbe mai così familiare, e il miracolo di superare le barriere potrebbe rinnovarsi ogni giorno. Ma per la maggior parte della gente, la propria personalità, e quella degli altri, è presto esplorata ed esaurita. Per loro l’intimità è stabilita principalmente col contatto sessuale. Poiché sentono la separazione dall’altra persona principalmente come separazione fisica, l’unione fisica significa superare la separazione.
Oltre a ciò, ci sono altri fattori che per molta gente significano il superamento della separazione. Parlare della propria vita personale, delle proprie speranze e delle proprie ansie, mostrarsi sotto aspetti infantili, stabilire un interesse comune di fronte al mondo, tutto ciò è inteso come un superamento della solitudine. Perfino dimostrare la propria rabbia, il proprio odio, la propria completa mancanza di inibizioni, è scambiato per intimità, e ciò può spiegare l’attrazione perversa che spesso lega una coppia, che è unita solo a letto o quando dà libero sfogo al rancore e all’odio Ma tutte queste forme di intimità tendono a ridursi man mano che il tempo passa. La conseguenza è che si cerca l’amore con un’altra persona, una persona nuova. Ancora una volta, l’estraneo viene trasformato in “intimo”, di nuovo l’esperienza di innamorarsi è intensa, e inebriante; poi comincia a farsi sempre meno intensa, e termina col desiderio di una nuova conquista, un nuovo amore – sempre con l’illusione che il nuovo amore sarà diverso dal precedente. Il carattere ingannevole del desiderio sessuale ha un peso notevole in queste illusioni.
Il desiderio sessuale tende alla fusione ed è, senza dubbio alcuno. solo un appetito fisico, il sollievo ad una tensione spasmodica. Ma il desiderio sessuale può essere stimolato dall’ansia della solitudine, dal desiderio di conquistare o di essere conquistato, dalla vanità, dalla volontà di ferire e perfino di distruggere, così come può essere stimolato dall’amore. Sembra che il desiderio sessuale possa facilmente essere confuso, o essere stimolato, da una forte emozione. Poiché il desiderio sessuale è insito nella mente e associato al bisogno d’amore, è facile concludere che ci si ama quando ci si desidera fisicamente. L’amore può ispirare il desiderio dell’unione sessuale; in questo caso la relazione fisica manca di brama, di desiderio di conquistare o di essere conquistato, ma è caratterizzata dalla tenerezza. Se il desiderio di unione fisica non è stimolato dall’amore, se l’amore erotico non è anche amore fraterno, non porta mai alla fusione se non in un senso orgiastico e fittizio. L’attrazione sessuale crea, sul momento, un’illusione d’unione, eppure senza amore questa “unione” lascia due esseri estranei e divisi come prima – a volte li fa vergognare l’uno dell’altro e li fa perfino odiare l’un l’altro, perché quando l’illusione è svanita essi si sentono più estranei di prima. La tenerezza è senza dubbio, come credeva Freud, una sublimazione dell’istinto sessuale; è la conseguenza diretta dell’amore fraterno, ed esiste sia nelle forme psichiche d’amore, che in quelle fisiche.
Nell’amore erotico c’è un’esclusività che manca nell’amore fraterno e materno. Il carattere esclusivo dell’amore erotico richiede ulteriori chiarimenti.
Spesso, l’esclusività dell’amore erotico è interpretata come attaccamento possessivo. È molto frequente trovare due persone “innamorate” tra loro che non sentono amore per nessun altro. Il loro amore è, infatti, un egoismo a due; sono due esseri che si annullano a vicenda, che risolvono il problema della separazione fondendosi tra loro. Credono così di superare la solitudine; eppure, staccandosi dal resto della specie, restano separati tra di loro e perfino da loro stessi; la loro unione è un’illusione. L’amore erotico esclude l’amore per gli altri solo nel senso di fusione erotica ma non nel senso di profondo amore fraterno.
L’amore erotico, per essere vero amore, richiede una condizione: che io ami dall’essenza del mio essere, e “senta” l’altra persona nell’essenza del suo essere. Nell’essenza, tutti gli esseri umani sono identici. Siamo tutti parte di Uno; siamo Uno. Partendo da questo principio, non ha importanza chi amiamo. L’amore dovrebbe essere essenzialmente un atto di volontà, di decisione di unire la propria vita a quella di un’altra persona. Questo è, in verità, ciò che di razionale v’è dietro il concetto dell’insolubilità del matrimonio, com’è dietro molti matrimoni tradizionali, in cui i due sposi non si scelgono tra loro, ma vengono scelti l’uno per l’altro, e che tuttavia ci si aspetta si amino. Nella civiltà occidentale moderna questo concetto appare falso, nel suo insieme. L’amore dovrebbe essere una reazione emotiva, spontanea, un sentirsi improvvisamente uniti da un sentimento irresistibile. Sotto questo aspetto, si vedono solo le caratteristiche dei due esseri coinvolti, e si dimentica il fatto che tutti gli uomini sono parte di Adamo, e tutte le donne parte di Eva. Si trascura un fattore fondamentale, nell’amore erotico: quello di volere. Amare qualcuno non è solo un forte sentimento, è una scelta, una promessa, un impegno. Se l’amore fosse solo una sensazione, non vi sarebbero i presupposti per un amore duraturo. Una sensazione viene e va. Come posso sapere che durerà sempre, se non sono cosciente e responsabile della mia scelta?
Tenendo conto di questi elementi, si arriva alla conclusione che l’amore è essenzialmente un atto di volontà, e che di conseguenza non importa chi ne sia l’oggetto. Sia il matrimonio combinato da altri, sia esso il risultato di una libera scelta, basterebbe un atto di volontà a garantire la durevolezza dell’amore. Questo punto di vista sembra non tener conto del carattere paradossale della natura umana e dell’amore erotico. Tutti noi siamo Uno, eppure ognuno di noi è un’entità unica, separata. Nei nostri rapporti col prossimo si ripete lo stesso paradosso. In quantoché siamo uno, possiamo amare tutti nello stesso modo, nel senso di amore fraterno. Ma in quantoché siamo esseri distinti, l’amore erotico esige prerogative strettamente individuali, che esistono tra determinate persone, e non certo tra tutte.
Entrambi i punti di vista, perciò, sia quello dell’amore erotico inteso come attrazione strettamente individuale tra due persone, sia quello dell’amore erotico considerato come un atto di volontà sono fondati, o meglio la verità non è né questa né quella. Di conseguenza, il concetto di un rapporto che si possa facilmente troncare se fallisce, è altrettanto errato del concetto che tale rapporto non possa mai essere troncato.
Dott. Roberto Cavaliere
Psicologo, Psicoterapeuta
Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)
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