Per Schopenhauer l’amore è legato alla sessualità, la quale a sua volta esprime la volontà della specie di proseguire la sua esistenza.
“Ogni innamoramento, infatti, per quanto voglia mostrarsi etereo, ha la sua radice solo nell’istinto sessuale, anzi è in tutto e per tutto soltanto un impulso sessuale determinato, specializzato in modo prossimo e rigorosamente individualizzato.
[…] L’estasi incantevole, che coglie l’uomo alla vista di una donna di bellezza a lui conveniente e che gli fa immaginare l’unione con lei come il sommo bene, è proprio il senso della specie, che, riconoscendo chiaramente impresso in essa il suo stampo, vorrebbe con essa perpetuarlo. Da questa decisa inclinazione verso la bellezza dipende la conservazione del tipo della specie: perciò esso agisce con cosí gran forza. Noi considereremo piú oltre singolarmente gli accorgimenti, che esso adopera. L’uomo è dunque in ciò guidato realmente da un istinto, che tende al miglioramento della specie anche se si illude di cercare soltanto un accrescimento del proprio godimento. In effetti noi abbiamo qui un istruttivo chiarimento sull’intima essenza di ogni istinto, il quale quasi sempre, come qui, mette in moto l’individuo per il bene della specie.
[…] Conformemente all’esposto carattere della cosa, ogni innamorato, dopo il godimento finalmente raggiunto, prova una strana delusione e si meraviglia, che ciò che ha cosí ardentemente desiderato non dia nulla di piú di ogni altro appagamento sessuale; tanto che egli ormai non si vede piú spinto verso di esso. Quel desiderio dunque stava a tutti i rimanenti suoi desideri nello stesso rapporto con cui la specie sta all’individuo, ossia come una cosa infinita e una finita. L’appagamento al contrario avviene propriamente solo per il bene della specie e non cade perciò nella coscienza dell’individuo, il quale qui, animato dalla volontà della specie, serviva con ogni sacrificio ad un fine, che non era il suo proprio. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, II, 44
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 653-656
“Si tratta di una passione tirannica e demoniaca, anzi metafisica, che nei gradi più alti della sua intensità è capace di travolgere tutto, anche la vita stessa di chi vi è irretito. E se ne capisce il perché, dice il filosofo, se si pensa che dall’amore dipende la perpetuazione della specie.Ma una cosa di tanta importanza non poteva essere lasciata all’arbitrio degli individui e così la natura ci ha dato l’istinto sessuale, la cui forza e infallibilità ci inducono a fare quello che non faremmo mai con la mera riflessione razionale. Tale istinto crea delle illusioni, facendoci credere che l’amplesso con una determinata persona ci procurerà una gioia infinita; ma poi, post rem, scopriamo con stupore che così non è. Intanto la natura ha ottenuto il suo scopo, quello appunto della riproduzione. Ciò che le sta a cuore, infatti, è la vita della specie e non quella degli individui, che essa considera semplici strumenti o zimbelli. Ogni amore, per quanto etereo possa apparire, è radicato nell’istinto sessuale; e non c’è alcuna differenza essenziale tra il cervo in fregola che bramisce e il poeta innamorato che scioglie inni alla sua bella. Lo scopo è sempre lo stesso, comunque lo si persegua: perpetuare la specie. L’istinto sessuale, di cui la natura si serve per i suoi fini, ci guida come un fuoco fatuo e poi ci lascia negli stagni.”
(Metafisica dell’amore sessuale: l’amore inganno della natura/Arthur Schopenhauer.– Milano:Rizzoli, 1996 )